domenica 23 agosto 2009

PER UNA DEMOCRAZIA ESIGENTE

Laicità, Uguaglianza, Civismo.

(di Gianni Cuperlo )Bozza in progress

Sosteniamo Pier Luigi Bersani nella sua candidatura a Segretario del PD. Lo facciamo sulla base di una lettura di questi anni, di alcune convinzioni profonde e di quei traguardi che riteniamo essenziali per ridare senso e slancio al progetto di un nuovo partito. A Bersani diciamo che saremo leali verso di lui e coerenti con i contenuti di questo documento. Nella certezza che il Partito Democratico, una volta concluso il suo congresso, dovrà vivere come una comunità di donne e uomini, ricca delle sue differenze, ma unita e solidale. Perché anche così torneremo ad avere nel paese quel prestigio senza il quale ogni politica e ogni programma sono scritti sulla sabbia
Aderisci all'appello lasciando la tua firma nei commenti alla fine del documento che troverai sul sito http://www.bersanisegretario.it/

L’Italia che sarà.

Un partito è molte cose, la sua cultura, il suo programma, la leadership. Maprima di tutto è una comunità di donne e uomini che si riconosce in un’idea del futuro. E’ sempre stato così. I partiti capaci di durare nel tempo hanno convinto popoli e nazioni della possibilità di allargare le libertà e i diritti superando i limiti posti sino lì dalla storia. Le ideologie del Novecento hanno interpretato questa ambizione in modi diversi. Nel solidarismo. Nell’orizzonte dell’uguaglianza o nel finalismo di una società diversa. Anche l’Italia, dopo la Liberazione, ha riscoperto una pluralità di tradizioni e partiti. Ne è nato l’incontro di un popolo con la democrazia e sono seguiti decenni di crescita, lotte, movimenti che hanno cambiato volto al paese. Oggi serve riscoprire quel senso profondo della politica. Lo sipuò fare se un partito storicamente diverso torna a essere la leva per un balzo in avanti nelle libertà, nei principi di uguaglianza e convivenza per milioni di persone. La difficoltà è riuscirci in un mondo che è nuovo a sua volta. Dove le vecchie soluzioni non bastano più. Dove guerre e diritti umani violati, disuguaglianze insopportabili, oltre un miliardo di esseri umani senza accesso al cibo, un ambiente sfigurato esigono dalla politica parole e contenuti radicali. Un mondo dove, oggi più che mai, la sfida progressista si misura con la prospettiva di un governo globaledi democrazia ed economia. Dentro questa ambizione si rinnova anche il valore dell’Europa unita.La scelta del Partito Democratico si colloca qui. Come un investimento sul mondo attuale. La prima conseguenza è che il banco di prova per noi tutti non èl’Italia che c’è. Ma l’Italia che sarà. Cosalasceremo dopo? Questa, al fondo, è la domanda decisiva per un partito e per i suoi gruppi dirigenti. Quella che ne stabilisce la natura e la forza. Noi suggeriamo una risposta: vogliamo lasciare un’Italia additata come esempio, innanzitutto per il suo livello di civiltà. Un paese considerato. Per il rispetto verso chi qui nasce, per chi qui giunge e vive, e per il suo ambiente e la sua cultura. Un rispetto da conquistare attraverso l’uguaglianza nei diritti e nei doveri, senza distinzioni di genere, lingua, credo. E senza discriminazioni legate all’età, all’orientamento sessuale, a diverse abilità.

Una riscossa civile e morale.

La nostra ambizione – l’ambizione del Partito Democratico – è nella rivincita di questa idea dell’Italia. E’ nel condividere con una maggioranza dei cittadini le mete di una democrazia che la destra sta deformando. Noi vogliamo lavorare per una riscossa civile e morale del Paese, contro le ragioni di quella destra. Per riuscirci dobbiamo rompere un linguaggio e una continuità con la storia di questi anni.Abbiamo conosciuto Blair e l’impatto della modernità nel welfare. Zapatero e la fermezza sui diritti civili. Oggi, insieme al primato dei diritti umani e al dialogo tra le nazioni, vediamo in Obama il ritorno dell’uguaglianza nell’accesso alle opportunità e alle risorse economiche e ambientali. Leadership diverse, ma tutte autorevoli perché autorevoli erano e sono i traguardi che hanno saputo indicare.

A noi spetta dire l’Italia che vogliamo.

Un paese dove nessuno, nel corso della vita, sia abbandonato o veda limitata la sua libertà, in una tensione costante verso il bene comune e virtù civili condivise.Dove il rispetto e il sostegno della dignità e dell'autonomia di ogni donna, condizione della dignità e autonomia di tutti, sia il limite invalicabile della democrazia e della civiltà. Dove si realizzi la più clamorosa riconversione dell’economia. Mettendo al centro la dignità e l'onestà della persona nel lavoro e nella corrispondenza, anche morale, tra contenuto del lavoro, corredo di diritti sociali e qualità del reddito. Il valore del lavoro si misura a partire da lì, dal riconoscimento dell'eguale pregio sociale tra lavoro manuale e artigianale, intellettuale e creativo, dell'impresa, dell’educazione e della cura. Tra i prezzi maggiori pagati al liberismo senza principi vi è stato, in particolare, l’offuscarsi di questo valore. Donne e uomini sono tornati a rappresentare merce per i profitti, e ciò è andato di pari passo col consumo dissennato delle risorse. Un atteggiamento esaltato da una globalizzazione senza regole, dalle delocalizzazioni, dalla via bassa alla competitività e dalla discontinuità di impieghi nel corso della vita.Il lavoro per ritrovare lo spazio che in questi anni gli è stato negato deve uscire dall’imbuto in cui è stato sacrificato e sposarsi aun approccio culturale moderno che metta al centro della crescita la Persona. Anche per questo la risposta alla crisi dev’essere economica e democratica al tempo stesso. Deve misurarsi coi guasti maturati nell’ultimo ventennio e coi ritardi culturali della sinistra e dei democratici europei.Forse oggi, per la prima volta, si può cogliere tutta la miopia di quanti ci hannospiegato che il tasso di riformismo si sarebbe misurato anche sulla flessibilità come valore in sé, sulla distanza dal sindacato e sull'esaltazione di un mercato senza lacci. Semmai una forza democratica deve spingere per una estensione della rappresentanza dei lavori e delle persone, e per un sindacato moderno, rinnovato nella sua cultura e impostazione.In questo autunno così difficile dovremo essere fermi nel prolungamento e nella estensione della cassa integrazione, nella difesa dei posti di lavoro esistenti, nell’introduzione di sostegni attivi al reddito di chi perde l’impiego. Combattendo la precarietà e l’ideologia fondata su “vite di scarto”, perché nessuno ha diritto di “scartare” nessuno. Dovremo spiegare le ragioni di un uso del fisco a favore dell'occupazione e delle piccole imprese. Restituire discredito all’evasione fiscale e cancellare una volta per tutte la cultura dei condoni, destinando le maggiori risorse al sostegno di pensioni e stipendi in un paese dove troppe famiglie scivolano in silenzio verso la povertà. Il traguardo è ricostruire le regole e un principio di legalità per un’economia che arricchisce il territorio e la comunità. Significa collocare gli italiani al vertice dell’Europa per la valorizzazionedelle risorse e dei giacimenti culturali. Traguardo che passa anche dalla forza della scuola pubblica, dall’autonomia della ricerca, da una riforma dell'informazione e dei media con una “riparazione” delle distorsioni di questi anni.Eancora, vogliamo collocare l’Italia tra i primi nell’uso sapiente del sole, del vento, del mare, e nel corretto uso dell’aria, dell’acqua, della terra.Per la prima volta i mutamenti climatici, le emergenze alimentari, assieme auna coscienza ambientale sempre più diffusa stanno mutando comportamenti e stili di vita. Anche nel nostro paese queste tendenze possono ispirare un nuovo civismo e aiutare occasioni di uno sviluppo economico di qualità.Un’idea forte dell’Italia passa da un’idea alta della sicurezza. Nel rispetto rigoroso dei diritti umani, ovunque nel mondo e tanto più in casa nostra, come non è avvenuto ancora di recente col respingimento collettivo di centinaia di disperati – tra loro donne e bambini – nel canale di Sicilia. Sicurezza contro l’odio razziale, la violenza sulle donne, l’omofobia, la prepotenza sull’infanzia e su chi è disabile. Sicurezza come diritto di cittadinanza. Sicurezza delle persone e dei territori. Combinando il massimo contrasto del crimine, la certezza e l’umanità della pena, la regolazione adeguata dei flussi di migranti, con un programma di prevenzione, di aiuto alla vittima, con un'educazione alla cittadinanza fin dai banchi della scuola. Tutto questo non lo possono fare un partito o un governo da soli. Per un partito moderno è decisivo aprirsi alla collaborazione permanente con associazioni, col mondo cooperativo e con le reti di solidarietà che agiscono sul territorio, in una spinta comune verso il riscatto della nazione.In questa prova chi è in prima fila nei governi locali avrà un ruolo importante. Perché meglio di chiunque sa collegare l’agire quotidiano a un progetto. L'Italia questo lo sa, conosce il patrimonio rappresentato dalle sue città. Questo vale per un Nord da rimotivare e riconoscere nella sua funzione nazionale, e per il Sud dove combattono risorse splendide e non rassegnate. Molta parte delle classi dirigenti più dinamiche si forma oggi nei territori, e questa è una risorsa. Ma se nei territori rimane rinchiusa, rischia di ripiegare e di rendere asfittico il paese. Noi vogliamo essere l’ossatura di classi dirigenti territoriali, ma responsabili verso il paese e capaci di tenere unita una nazione oggi spaccato. Anche per questo ci battiamo per una stagione di nuovo autonomismo consapevole e solidale.

Una democrazia esigente e che decide.

Se vogliamo davvero uscire dalla crisi con un’Italia diversaè necessario, dunque, che l’economia proceda insieme a una democrazia esigente e capace di decidere: perché dove crescono diritti e doveri, responsabilità, chance, cresce anche una società più ricca e inclusiva. Non per caso, a segnalare questo legame, si comincia a parlare sempre più spesso di “un’economia civile”.Agendo così cresce soprattutto un Paese più orgoglioso di sé. Dove la figlia o il figlio di un immigrato possanodiventare, un giorno non troppo lontano, capo del governo, sindaco di Roma o Milano, o presidente della Repubblica. Dove l’avanzamento dei meriti si fondi con la promozione degli ultimi, offrendo a tutti la possibilità di un’esistenza degna, dal primo all’ultimo giorno. Traguardo che passa, per ciascuno di noi, da un reddito o una pensione sicuri lungo ogni stagione e dalla possibilità di scegliere sulle decisioni fondamentali della vita. Dalla necessità di sbloccare un Paese corporativo e drammaticamente fermo. Dalla gioia di una maternità spesso negata a causa della precarietà e da un tasso di occupazione femminile che ci colloca in fondo all’Europa, da servizi mancanti e da uno stato sociale rigido. E da una busta paga che per le donne, nonostante la Costituzione, è tuttora più leggera rispetto a quella dei loro colleghi maschi.I frutti avvelenati del berlusconismo hanno avuto l'acme nell’offesa della dignità pubblica femminile. E’ questo forse il tratto più grave della regressione culturale inflitta dalla destra. Con un’ atteggiamento verso le donne che ha resuscitato toni e modi di un’italietta misera.Non è solo una devianza di stile o un colpo alla credibilità del Paese. E’ un problema più serio, di fatto il tentativo di una rivincita contro la storia della libertà femminile e l’orgoglio di tante ragazze che vogliono essere considerate per qualità e senso di sé. Questo è tanto più pericoloso in un Paese dove familismo e conservazione, segnano elités e società. E dove, non a caso, è enorme il divario tra le capacità, la voglia di farcela delle donne e di moltissimi giovani e la risposta che a questa pressione offrono le istituzioni e la comunità. Su questo piano, anche nel nuovo partito, non abbiamo mosso passi sufficienti.Ci sono stati errori di una classe dirigente ancora troppo maschile nei contenuti, negli stili, nella gestione del potere. E tra le stesse democratiche è aperta una riflessione sulle discontinuità necessarie e sulla costruzione di un pensiero in grado di segnare una stagione di nuova autonomia e benessere per le donne e per il Paese.Altri “dove….” andranno scritti. Ma avendo sempre una bussola da consultare, perché senza bussola non c’è rotta e non c’è meta.Una bussola per fare ciò che in Italia non è mai stato fatto: promuovere l’uguaglianza come spinta alla crescita e al nuovo civismo evocato da Bersani. A quella “religione civile” che in fondo è la vera, grande carenza del nostro passato e del nostro presente. E allora ci sono due modi di intendere l'Italia che sarà. Quello più consumato, di un riformismo conosciuto e che si accontenta. Oppure quello che si propone uno strappo culturale e, di fronte alla crisi, ripensa a un’idea di progresso.

La laicità.

Se di questo si tratta, mai come oggi la laicità è tra i principi ispiratori di questo cammino. Laicità come guida in un mondo attraversato da fondamentalismi antichi e nuovi che impongono il loro dominio sul corpo e sulla dignità, ancora una volta, in primo luogo delle donne e dei bambini. Laicità, dunque, come premessa della libertà individuale. Come metodo per cercare soluzioni sagge, capaci di trasmettere fiducia e speranza alle persone, e mai punitive verso le loro convinzioni o la loro condizione. Laicità come riferimento per un diritto miteche restituisca ai cittadini una possibilità di scelta sui progetti di vita che li riguardano. Elaicità, naturalmente, come faro per classi dirigenti autonome, con la schiena diritta, tese alla costruzione di quelle virtù della Repubblica in cui potersi ritrovare, sentendosi davvero in casa propria. Che si tratti di garantire un testamento biologico effettivo, della revisione della legge 40, dei diritti e dei doveri delle coppie di fatto o dell’introduzione del divorzio breve. Questa visione della laicità riconosce la ricchezza e il ruolo della vasta comunità cristiana e in generale delle religioni nella sfera pubblica ed è condizione anche per quel dialogo inter-religioso vitale per coltivare la convivenza e la pace. Sapendo, tuttavia, che il primato è sempre di quell'etica della responsabilità che Stato e istituzioni devono stimolare e valorizzare, con buone leggi e il buon esempio.

Una identità.

Abbiamo parlato di principi e traguardi. Ciò che vogliamo dire è che per fare un partito non bastano uno statuto alla moda o un buon programma di governo. Diventeremo un vero, grande, partito democratico se poggeremo le nostre ragioni sul mito di un paese possibile. Perché su quel mito potremo aggregare un “popolo”. Il nostro.Per fare tutto questo serve una identità. Chiara.Riconoscibile. Questo è un punto di discontinuità con l’impostazione prevalente nel primo anno e mezzo di vita del PD. Perché proprio questa convinzione è stata negata, anche sul piano teorico, da chi ha guidato il partito finora. Motivando la vocazione maggioritaria come rappresentanza passiva di qualunque domanda e bisogno e non come la capacità di organizzare gli interessi parziali intorno a un’idea forte del Paese. Un’idea fondata sulle priorità, sulle coerenze, sulle scelte di una battaglia culturale e politica alla destra.Purtroppo quel vuoto ha pesato. Ha ridotto l’entusiasmo verso il progetto. Abbiamo condotto un’opposizione talvolta efficace, ma sono venuti meno autorevolezza, radicamento e milioni di voti.E’ mancata una discussione ordinata, in cui far sentire la voce dei Circoli e di un circuito più largo di sostenitori. Alcuni di noi avrebbero preferito tenere il congresso subito dopo il voto politico, per poter reinvestire al meglio quel 33 per cento raccolto. Invece abbiamo finito coll’archiviare le dimissioni del Segretario eleggendone un altro in una manciata di ore, senza un confronto vero e ridando così fiato a correntismo e “caminetti”.Ma se le cose stanno così, il punto non è impedire un ritorno all’indietro. Nessuno vuole tornare a prima. Questa è una caricatura. Il punto è come scegliamo di andare avanti.

Un partito vero.

Alle spalle abbiamo anni segnati dallo spregio verso la politica e i partiti. Quel giudizio si è fondato su un’immagine a volte devastata della qualità e moralità dell’impegno pubblico e nelle istituzioni.Mail PD è nato esattamente per contrastare quel sentimento e invertire quella deriva. Anche per questo vogliamo “un partito”. Non una sua imitazione. Tanto meno un partito ridotto a comitato elettorale di qualcuno, o parentesi tra un evento televisivo e l'altro.Un partito solido, trasparente, dove sia facile entrare e contare. Dove si studi, si lavori e si possa gioire insieme. Dove tutte le regole venganoapplicate e non solo proclamate. Pensiamo debba valere l’incompatibilità tra incarichi politici e incarichi pubblici. Chi fa il sindaco o il presidente di provincia o di regione non può allo stesso tempo dirigere il partito. Chiediamo che i gruppi del PD nelle istituzioni prevedano degli albi per la selezione delle candidature alle nomine pubbliche di competenza della politica. Noi siamo per le primarie nella selezione dei sindaci, dei presidenti di provincia e di regione. Vogliamo le primarie per la selezione dei candidati al Parlamento. Vogliamo anche introdurre la possibilità di consultazioni referendarie degli iscritti su alcune scelte di linea e di contenuto, perché anche così il partito impara a essere “democratico”, nel modo con cui si assumono e si rispettano le decisioni della maggioranza. Per la guida del partito, a tutti i livelli, vogliamo una discussione e una scelta seria nel congresso per consentire al partito e ai suoi iscritti di decidere come governare quella procedura, quando realizzarla perché sia davvero la porta girevole di una partecipazione larga e appassionata. Quello che non può più proseguire oltre è un meccanismo che, a tutti i livelli, appalta funzioni e ruoli secondo appartenenze a gruppi e componenti sacrificando ogni principio di capacità e merito. La costruzione di un partito è come la crescita di un figlio. Può far sorridere, ma è così. Chiede dedizione, affetto, regole, severità. E anche il coraggio di correggere le cose che non hanno funzionato. Ma è solo se questo impegno viene affrontato senza scorciatoie o improvvisazioni che quel partito crescerà sano e libero.

Un nuovo centrosinistra.

Infine, parlando del partito che dobbiamo costruire, pensiamo che il nostro sguardo sarà più lungo se terrà conto della storia del paese, delle radici che hanno reso possibile arrivare sino qui, con il coraggio di chi sa che è giusto cambiare ancora. Questo vorrà dire guardare verso altre e altri, recuperando lo spirito della “costituente” archiviato troppo in fretta. Insomma, pensiamo a un partito curioso, aperto. Un partito attento anche alla sinistra che si interroga fuori da noi, alle forze dell'opposizione più moderate, perché una nuova alleanza, un nuovo centrosinistra, si possa iniziare a costruire da subito, e in coerenza con quel bipolarismo necessario al Paese e al quale non intendiamo rinunciare.Pensiamo a una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare. Con un ruolo rigenerato dei partiti e la massima pubblicità nei loro finanziamenti. L’attuale legge elettorale per il Parlamento nazionale è un insulto. Oggi una decina di persone stabilisce la composizione di Camera e Senato. Per cambiare questa assurdità serve una maggioranza di deputati e senatori. La nostra scelta è per il ripristino del collegio uninominale maggioritario, preferibilmente a doppio turno. Nel caso questa soluzione non fosse raggiungibile si deve valutare un sistema proporzionale con soglia di accesso. Ma con una chiarezza sulle alleanze successive. Perché i partiti hanno il dovere di dire agli elettori – prima delle elezioni – con chi intendono allearsi. E’ una decisione imposta loro da quella coscienza bipolare del Paese che è tra i veri fatti nuovi e positividell’ultimo ventennio. Noi non vogliamo tornare alle pratiche dei governi figli di estenuanti trattative. Ma questo traguardo, largamente condiviso nell’opinione pubblica, a questo punto non passa solo dalle regole elettorali. Passa dall’autonomia e dalla credibilitàdella politica. Le forze sinceramente bipolariste saranno premiate. Chi lavorerà contro il bipolarismo verrà punito. Ciò che non funziona più (visti i risultati conseguiti finora) è l’idea che le tecniche elettorali cambinoda sole le culture politiche. Questo schema voleva sperimentare in Italia l’elezione diretta del governo da parte dei cittadini. Il risultato è che ai cittadini è stato sottratto anche il diritto di eleggere il Parlamento. Adesso è venuto il momento di restituire agli elettori lo scettro della decisione. Ma per davvero.

La nostra vocazione maggioritaria.

Vivrà qui, infine, la vera vocazione maggioritaria del PD. Nella nostra capacità di rendere popolari valori e traguardi che consideriamo irrinunciabili, e che oggi non sono ancora vincenti.Per tutte queste ragioni è giusto scegliere bene il progetto e la leadership migliori per battere una destra illiberale, che mostra alcune crepe, ma ancora forte nel consenso che raccoglie. A Pier Luigi Bersani chiediamo di interpretare questa leadership e di essere il segretario di tutti. Noi lo appoggeremo con lealtà, battendoci per le idee nelle quali crediamo di più e che abbiamo richiamato in questo documento.Lo facciamo convinti che viviamo un destino comune e che il giorno dopo il Congresso dovremo poter dire, con più sicurezza, di avere una passione condivisa, una comunità vitale, pensieri forti e un popolo da rappresentare. A Bersani chiediamo un atto di rigore: la scelta di avviare una stagione per le Democratiche e per i Democratici segnata da una sobrietà dei toni pari alla determinazione delle battaglie che saremo chiamati a condurre. Infine gli diciamo che il miglior leader sa di non bastare a se stesso perché l’orchestra senza direttore non produce armonia, ma il direttoresenza orchestra non emette suono. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Perché solo insieme ce la potremo fare.Non sarà facile. Ma da qui dobbiamo ripartire e, insieme, ce la possiamo fare.Su questo e altro vogliamo contribuire al confronto congressuale anche con incontri nelle nostre città. Il primo appuntamento che ci diamo è a Milano a inizio settembre.

Gianni Cuperlo, Barbara Pollastrini, Claudio Martini, Mercedes Bresso, Flavio Delbono, Nicola Zingaretti, Antonio Panzeri, Fabrizio Onida, Leonardo Domenici, Marilisa D’Amico, Andrea Cozzolino, Sergio Staino, Daria Colombo, Enzo Amendola, Alessandra Kustermann, Susanna Cenni, Andrea Orlando, Stefano Esposito, Donata Lenzi, Roberto Vecchioni, Giuliana Manica, Andrea Benedino, Graziella Pagano, Rossella Lama, Giuseppina Muzzarelli, Stefano Draghi, Stefano Fassina, Teresa Bellanova, Lucia Codurelli, Giovanna Martano, Angelo Zucchi, Salvatore Veca, Ornella Piloni, Lisa Noja, Doris Lo Moro, Loris Maconi, Ignazio Ravasi, Michele Bordo, Romana Bianchi, Piera Capitelli, Cinzia Fontana, Paolo Corsini, Gabriella Ercolini, Catiuscia Marini, Luigi Duse, Giorgio Cazzola, Vitantonio Ripoli, Edoardo Borruso, Antonio Duva, Gianni Farina, Marilena Samperi, Ferruccio Capelli, Laura Froner, Ivana Bartoletti, Giorgio Roilo, Ardemia Oriani, Silvana Giuffrè, Luciano Pizzetti, Silvia Velo, Marialuisa Gnecchi, Sesa Amici, Dario Ginefra, Fabio Porta, Lodovico Vico, Paolo Fontanelli, Sergio Lo Giudice, Marcella Marcelli, Valeria Valente, Elena Buscemi, Francesco Demuro, Nico Stumpo, Stefano Sedazzari, Marta Battioni, Brunella Celli, Anna Puccio, Monica Zaccarini, Annamaria Antoniolli, Giuseppe Jennarelli, Daniela Turci, Alfredo Bologna, Michele De Pascale, Ivana Gonizzi, Alessandro Oderda, Annamaria Abbate, Stefano Dal Pra Caputo, Adele Vignola, Rosita Fabbri, Rita Zampolini, Roberta Di Pasquale, Marta Romanelli, Alessandro Perini, Fulvio Santagostini, Mauro Macis, Alfio Tondelli, Sandro Guercio, Mauro Vicini, Tina Mazzoleni, Umberto Mascanzoni, Osvaldo Miraglia, Vanes Tamburini, Matteo Mangili, Antonio Tarantino, Gianfranco Massetti, Elisabetta Barrella, Sabrina Greco, Carla Fabrizi, Anna Maria Perinelli, Gianpiero Pinna, Donatella Passerini, Fernando Gaballo, Rudy Lazzarini, Salvatore Bruscia, Luca Poli, Pasquale Fiorillo, Pier Natale Mengozzi, Giovanni Barberini, Maurizio Canevari, Martina Draghi, Tamara Ferretti, Marina Badino

sabato 15 agosto 2009

RIFORMISTI, IL CORAGGIO DI PARLARE CONTROCORRENTE


Di Romano Prodi pubblicato sul Messaggero del 15 agosto 2009
Il dibattito sulla crisi del riformismo in Europa ha tenuto banco per qualche settimana dopo le elezioni europee. Poi è sparito nel nulla>senza aver prodotto alcun apparente risultato. Lontano dalle polemiche elettorali e favoriti dalla quiete estiva conviene ritornare sull'argomento. Che i partiti riformisti siano in profonda crisi non è contestabile: il centro-sinistra è stato sconfitto nella maggioranza dei paesi europei proprio durante una crisi economica che ha rivalutato molte delle proposte che erano tipiche di questi partiti. Per spiegare questo paradosso conviene fare qualche passo indietro e ritornare al momento in cui, dopo un lungo periodo in cui la politica mondiale era stata dominata dal binomio Reagan- Thatcher, la situazione si rovesciò con la vittoria di Blair che sembrava in grado di cambiare i destini europei con il new labour, la terza via che avrebbe dovuto rinnovare il riformismo europeo e lo schema politico mondiale collegandosi con le novità che Clinton proponeva negli Stati Uniti. Con un pizzico di esagerazione, ma anche per esaltare il ruolo italiano in questo processo, si era arrivati perfino a parlare di "ulivo mondiale". La causa della sconfitta di questa grande stagione è da individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour e l'ulivo mondiale erano una fucina di novità, nella prassi di governo di Tony Blair e i governi che ad esso si erano ispirati si limitavano ad imitare le precedenti politiche dei conservatori inseguendone i contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio. Sul dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le>decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti. Il messaggio lanciato all'elettore era il più delle volte dedicato a dimostrare che il modo di governare sarebbe stato migliore. Nel frattempo il cambiamento della società continuava secondo le linee precedenti: una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell'uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale. Vent'anni fa una mia semplice osservazione che la differenza di remunerazione da uno a quaranta tra il direttore e gli operai di una stessa azienda era eccessiva, aveva causato scandali e discussioni a non finire. Oggi nessuno si stupisce del fatto che questa differenza sia in molti casi da uno a quattrocento. Durante il momento più acuto della presente crisi abbiamo assistito a una breve fase di sdegno nei confronti della remunerazione di alcuni dirigenti, ma poi tutto è stato dimenticato. Come se vivessimo in una società immutabile, come se la realtà esistente e le convinzioni dell'opinione pubblica fossero così forti da non essere>riformabili. Il riformismo ha cioè perso la fiducia in se stesso e preferisce inseguire le piattaforme e i programmi degli altri, pensando che, per rovesciare le fortune elettorali, sia sufficiente criticare gli errori e i comportamenti dei governanti. A cambiare gli equilibri politici tutto ciò non basta, anche perché la rapidità con cui gli "estremisti" del mercato si sono impadroniti del linguaggio dei riformisti è davvero degna di un premio Nobel. Per vincere i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti su tutti i temi elencati in precedenza. Ribadendo con forza il ruolo dello Stato come regolatore di un mercato finalmente pulito. Approfondendo i modi e gli strumenti attraverso i quali i cittadini abbiano uguali prospettive di fronte alla vita. Rinnovando il funzionamento del sistema scolastico, della ricerca scientifica e del sistema sanitario. Ripensando al grande processo di superamento del nuovo nazionalismo politico ed economico con una forte adesione agli obiettivi di coesione europea e di solidarietà internazionale. Non avendo paura di denunciare i tanti aspetti riguardo ai quali il capitalismo deve profondamente riformarsi. Non accontentandosi di>mostrare un giorno la faccia feroce e il giorno dopo un viso sorridente verso gli immigrati, ma preparando una organica politica di legalità ed accoglienza. Mi rendo conto che tutto ciò significa avere il coraggio di scontentare molti e aver la forza di scomporre e ricomporre il proprio elettorato. Mi rendo conto che nessun politico affronta a cuor leggero questa azione di scomposizione e ricomposizione, ma mi rendo anche conto che la crisi economica sta cambiando percezioni e mentalità. Essa rende più accettabili le proposte innovative e coraggiose che il centro-sinistra deve elaborare per essere ritenuto in grado di governare la nostra società. Un compito difficile, tutto in salita e, in una prima fase, addirittura contro corrente. Tuttavia chi non è capace di nuotare contro corrente non sarà mai in grado di risalire un fiume. Romano Prodi

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venerdì 24 luglio 2009

BERSANI: "UN SENSO A QUESTA STORIA"

BERSANI INTERVISTATO AD UNO MATTINA

Il Candidato alla segreteria presenta slogan e mozione. Replica con decisione a Veltroni e ribadisce la stima per Marino. "Dopo il congresso dobbiamo essere più uniti di prima"
Bersani: "Io non mi tiro fuori dal passatoma adesso il partito deve cambiare"
Una proposta per "riaprire il cantiere dell'Ulivo": "Vocazione maggioritaria non vuol dire aspettare il 51% ma sentire la responsabilità di costruire alleanze"
"Vocazione maggioritaria non vuol dire aspettare di avere il 51% per essere un'alternativa al centrodestra, ma avere un progetto per tutto il centrosinistra e sentire la responsabilità di costruire delle alleanze". Pierluigi Bersani, presentando la sua mozione congressuale e lo slogan della sua campagna per la segreteria del Pd ("Un senso a questa storia"), lo dice chiaramente: "Io non ragiono col trattino", bisogna "riaprire il cantiere dell'Ulivo e riorganizzare il centrosinistra". Un progetto alternativo a quello di Walter Veltroni (e del suo successore Dario Franceschini), a cui l'ex ministro replica così: "Sento dire: ma tu dov'eri? Io c'ero, nessuno si è calato da fuori, e uso sempre il noi. Ora dopo venti mesi ci sono cose che dobbiamo correggere". E la correzione deve avvenire soprattutto sul piano delle alleanze. "La parola centrosinistra - spiega infatti Bersani - è un luogo, non è il tratto di identità del partito. È dove abiti, non chi sei. Perciò io propongo di lavorare per dire chi siamo: siamo un partito popolare, laico, del lavoro della riscossa civica. Definiamo assieme queste cose". "Il primo punto" che, a suo giudizio, è legato al tema delle alleanze future è quello "del profilo della democrazia e delle istituzioni: legge elettorale, conflitto di interessi, informazione", di queste cose "dobbiamo ragionare con tutti quelli che sono preoccupati dalla deriva populistica della destra". Poi puntualizza di essere "per il bipolarismo ma non per il bipartitismo": da qui la necessità di "una legge elettorale coerente che riconosca soggettività ai partiti politici". "No ai presidenzialismi mascherati", aggiunge. Bersani precisa inoltre che la sua "non è una candidatura contro qualcuno, anzi dal congresso possiamo uscire più uniti se discutiamo di politica e se diamo fondamenta più solide al progetto, perchè questo è il tema. Al congresso non dobbiamo presentare un programma, ma un grande asse di proposte programmatiche. Questo congresso bisogna condurlo con grande civiltà e dobbiamo uscire più uniti di prima. Non voglio fare polemiche, mi piace però che il mio pensiero non venga distorto". E non mancano le stoccate interne. Rivolte, indirettamente, al suo avversario Dario Franceschini, che ha candidato i neo-eurodeputati Sergio Cofferati e Debora Serracchiani a due delle segreterie regionali del Pd. "Si sono chiamati europarlamentari a dirigere il partito a due mesi dalle europee - attacca - ci sono fiori di europarlamentari che mi sostengono ma io non li utilizzerò nelle corse alle segreterie regionali". "Radicare un partito non è cosa da week end", prosegue Bersani. Che ribadisce la sua stima per il terzo incomodo nella corsa alla segreteria, Ignazio Marino, oggi attaccato pesantemente dal Foglio di Giuliano Ferrara a proposito del suo allontanamento dall'istituto di trapianti Ismett. (Da Repubblica web del 24/07/09)

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venerdì 17 luglio 2009

Bersani - Intervento al Lingotto 27/06/09

Intervento di Bersani prima della sua candidatura ufficiale

ECCO PERCHE' STO CON BERSANI

1 luglio 2009
Idee per l'Italia e per il PD. Bersani incontra i giovani
Testo integrale dell'intervento all'Ambra Jovinelli, in occasione della presentazione della candidatura a Segretario del PD

Cari amici e compagni, la prima parola la voglio dire per testimoniare il cordoglio nostro per le vittime dell’assurda strage di Viareggio e per dare solidarietà alle famiglie dei morti e dei feriti. Vorrei che ci raccogliessimo in un minuto di silenzio.

Subito qualche scusa e ringraziamento. Mi scuso, intanto, con le centinaia di persone che sono fuori da qui e mando loro un saluto. Mi dispiace, non pensavamo ad un’affluenza di questo genere. Un ringraziamento fatemelo fare – anche se non tutti ce ne siamo accorti in questo momento particolare – allo staff di Vasco Rossi che ha voluto regalarci un minuto di una rielaborazione di una bellissima sua canzone. Questo mi ha fatto molto piacere. E ringrazio voi, naturalmente, tutti voi, per aver raccolto il mio invito che, come sapete, è rivolto in particolare alla nuova generazione che è già in campo. Così farò in altri appuntamenti, in altre iniziative al nord ed al sud del Paese.


Non c’è bisogno di inventarsi una nuova generazione, neanche c’è bisogno di raffigurarla per simboli! Bisogna aprirle la strada. In primo luogo, aprirle la strada facendo in modo – e cominciamo qui – che possa direttamente prendere in mano, in ogni luogo del Paese, la discussione politica che avremo. E, in secondo luogo, facendo in modo che questa generazione possa misurarsi ad ogni livello nelle funzioni esecutive del partito. È quello che mi impegno a fare, a cominciare dal livello nazionale. È giusto che chi si predispone a sostenermi sappia bene come la penso a questo proposito.


Io ho in mente un partito nel quale c’è rispetto, rispetto per la generazione precedente; e un partito nel quale la generazione che viene prima, considera suo compito aprire subito la strada alla nuova generazione, sostenendola ed accompagnandola. Ho detto che avremo una discussione politica, finalmente una discussione politica! Una discussione sull’Italia e su noi, per renderci più utili alla riscossa del nostro Paese e agli interessi e ai valori che vogliamo rappresentare.


In questi mesi ci si deve accorgere che vogliamo avvicinare il Partito Democratico all’Italia.
Dobbiamo guardare in faccia la realtà. In questi venti mesi abbiamo suscitato molte speranze, e una parte di queste speranze è rimasta delusa.Molti elettori si sono allontanati da noi. Abbiamo vissuto in molti luoghi del Paese il venir meno della solidarietà fra di noi. Fenomeni di ripiegamento, di divisione, perfino di anarchismo. Le elezioni hanno segnalato, in particolare, un indebolimento del nostro legame con ceti popolari e ceti produttivi, confermandoci che la destra, quando vince, vince nel popolo.

E, tuttavia, di fronte a tutto questo non è mancato nelle nostre file la capacità di mobilitazione, di reazione. Nel pieno di una battaglia difficile abbiamo mostrato punti significativi di tenuta. Il nostro progetto non è stato mai messo in discussione. Franceschini lo ha detto e sono d’accordo con lui. Abbiamo le condizioni politiche per riaffermare il progetto e per rimetterlo in cammino.

Ma ecco il punto di partenza, che mi indusse mesi fa ad annunciare la mia candidatura. Secondo me, ci sono forti correzioni da fare. Chiariamo subito un punto: non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originaria. I nostri problemi sono venuti dal non aver messo ancora il nostro progetto su basi culturali, politiche ed organizzative abbastanza solide. Questo è il nostro problema e questo è il problema che il Congresso deve risolvere. Un congresso, quindi, fondativo del nostro partito.

Lo dico con franchezza: se non prenderemo in mano noi stessi, autonomamente e responsabilmente il nostro destino, se ci faremo prendere la mano da una discussione confusa e tutta mediatica, se ci attarderemo a discutere su categorie inafferrabili, su chi è democratico doc e chi no, sul nuovo e sul vecchio, sul vecchio e sul giovane, su chi deve star dentro e chi deve andare fuori, su chi ha la cravatta e chi no, io credo che gli italiani, giustamente, rivolgeranno lo sguardo altrove.E noi ci ritroveremo senza solidarietà, senza contenuti e, temo, anche senza partito. Io cercherò un’altra strada. Io farò un congresso contro nessuno, discutendo di politica e cercando, per quello che mi sarà possibile, di essere chiaro e concreto, di evitare la retorica. Forse ne abbiamo usata troppa in questi venti mesi e alla fine non ha scaldato il cuore. Gli italiani non l’amano.

In una discussione vera, per me, non c’è bisogno di supporters. C’è bisogno della testa e della testa di tutti.
Io ci metterò la mia testa, come ho sempre fatto. Io sono il candidato di nessuno, e sono il candidato che pensa che ci sia bisogno di tutti. Di tutti. Dirò l’essenziale di quel che penso sull’Italia, sui nostri compiti politici, sul partito, sapendo bene che, come capita in questi casi, non potrò essere breve. Dovrete avere un pò di pazienza. Neanche riuscirò ad essere esaustivo, e me ne scuso!

Voglio partire con una premessa per me non di poco conto. Prima di parlare d’Italia e di parlare agli italiani, dovremmo avere un’idea un pò più chiara sulla nostra carta d’identità, sul nostro biglietto da visita. Noi abbiamo affermato e ancora sento affermare l’esigenza di un partito post-identitario. Io non ci credo, non ho mai capito cosa significasse.


L’idea secondo la quale affidandoci a labili e forse ovvii riferimenti valoriali e ad un pò di eclettismo nella cultura politica, ce ne venissero larghezza di orizzonti, forza attrattiva, credo sia un’idea infondata, perché senza un’identità riconoscibile ogni gesto, anche il più provvisorio, il più tattico, mette un interrogativo su chi sei davvero
.

Senza un’identità riconoscibile ti privi di un messaggio di senso verso le generazioni nuove. Senza un’identità riconoscibile ti disarmi verso una destra che sparge ideologia, cioè un senso comune, un sistema di concetti che vengono prima della proposta politica o dell’azione di governo. Il “berlusconismo”, il “leghismo” li definiremmo forse post-identitari, post-ideologici? Eppure è con questi che noi abbiamo a che fare e, quindi, alla fine di questo congresso dovremmo aver detto qualcosa di più chiaro su di noi. Io parlo di un Partito Democratico che vuole interpretare ed estendere l’area del centrosinistra con il profilo di un partito popolare, un partito di una sinistra democratica e liberale che abita dove abitano le forze progressiste, socialiste, liberaldemocratiche del mondo, che partecipa all’alleanza tra socialisti e democratici in Europa. Parlo di un partito popolare, quindi non classista, non elitario, non populista, radicato in ogni luogo e capace di esperienze e di linguaggi che siano legati alla vita reale.


Un partito che si rivolge ad un arco ampio di ceti, di categorie sociali, ma che non può vivere scollegato dai ceti popolari, dai ceti produttivi e dalle nuove generazioni. Un partito, dicevo, che interpreti l’area del centrosinistra col profilo di una sinistra democratica e liberale, cioè di un partito che si ispira ad un’idea di uguaglianza e la rende concreta sia attraverso un mercato aperto e regolato, che distribuisca equamente occasioni, sia attraverso politiche pubbliche, sociali e universalistiche di ridistribuzione, di welfare, di promozione dei beni collettivi.


Per me, il Partito Democratico è un partito del lavoro, nella molteplicità dei suoi aspetti e dei suoi protagonisti, che rivendica la dignità e il ruolo sia del lavoro subordinato, sia di quello autonomo e imprenditoriale. Nel concreto, ne sostiene la prevalenza rispetto alle rendite e ad ogni privilegio. Il Partito Democratico, per me, è un partito laico, che non per questo banalizza o relativizza convinzioni o valori, crede anzi nella forza positiva delle convinzioni filosofiche e religiose. E, tuttavia, le distingue dalla responsabilità autonoma della politica, che ha il compito di promuovere decisioni pubbliche, tenendo conto della coscienza di tutti. Così come è stato insegnato dalle radici profonde della cultura cattolico-democratica.


Il Partito Democratico riconosce nella sfera dei diritti civili un fattore fondamentale di avanzamento umano, attraverso l’affidamento progressivo alla libertà e alla responsabilità dell’individuo di questioni che prima erano ricondotte ad una dimensione di etica pubblica. Ho fatto altrove questo esempio: fino a pochi anni fa lo stupro era un reato contro la morale; chi lo definirebbe così adesso? Adesso è un reato contro il diritto all’intangibilità della persona!
Il PD riconosce l’esigenza di regolare i possibili usi distorsivi della tecnica, il rischio della sovranità della tecnica, in particolare per quel che riguarda la possibile manipolazione dell’uomo.

Quando la politica è chiamata ad avvicinarsi ai temi cruciali della persona e della condizione umana il Partito Democratico fa riferimento ad un umanesimo forte, di natura cristiana e laica, che vive nelle radici profonde della nostra cultura politica e che non consente che, come debba, morire io lo decida il senatore Gasparri o il senatore Quagliariello che non consente che lo Stato invada i mondi vitali della persona e della famiglia. Il Partito Democratico è il partito del nuovo civismo, non perché pretenda di essere un’autorità morale, ma perché vuole promuovere una società organizzata su diritti e su doveri e su quella regolazione implicita della società, che prenda forza da comportamenti ispirati al civismo. E questo a partire dalla sobrietà della politica, come primo punto di questa riscossa civica.


Infine, il Partito Democratico è il partito del nuovo secolo, un partito contemporaneo, fortemente orientato alla modernità. Vuole misurarsi sui nuovi problemi, promuovere in ogni campo le prospettive delle nuove generazioni. Ma tutto questo, secondo me, diventa più agevole traendo forte senso da antiche radici che, oltrepassano largamente le vicende degli ultimi decenni, i DS, la Margherita, il PC, la DC, il “compromesso storico”. Mettiamo tutto questo in un percorso più ampio, più lungo. La nostra narrazione deve prendere a riferimento questioni più essenziali, radici più essenziali. Radici di emancipazione, di riscatto, di auto-organizzazione, di solidarietà, di autonomia, che furono la premessa vivente delle grandi formazioni politiche e popolari all’affacciarsi del secolo scorso. Allora si formò l’idea che, prendendo le parti ed il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole e subordinato, si potesse costruire una società migliore per tutti. E davanti alle condizioni nuove del nuovo secolo, questa resta la nostra profonda ispirazione, la nostra carta d’identità e, al tempo stesso, questo resta il nostro fondamentale problema nei tempi nuovi, nei tempi che si affacciano: darci un nuovo radicamento nei grandi ceti popolari.

All’uscita dal Congresso dovremo avere le idee più chiare su tutto questo, per poterci rivolgere con un profilo netto all’Italia. Se vogliamo parlare dell’Italia noi dobbiamo farlo nel cuore di questa crisi; non ne usciremo come ci siamo entrati, né per l’economia, né per la politica.

La gestione della destra è fatta di minimizzazione, di cabotaggio.


Ci prepara stagnazione economica, ci prepara crisi della finanza pubblica. Ci prepara una stagione ulteriore di condoni e quindi la previsione di ulteriori aumenti della pressione fiscale. Ci prepara l’abbandono sostanziale delle situazioni sociali più deboli.


Noi chiediamo anche da qui e con forza al Governo di assumere una maggiore responsabilità, di non edulcorare i dati della crisi.


Chiediamo al Governo di smetterla con le piccole pillole comunicative, chiediamo una gestione più aggressiva, una vera manovra anti-crisi che metta soldi veri e nuovi dove vanni messi: nei redditi di chi, a qualsiasi titolo, perde il posto di lavoro; nella liquidità delle piccole imprese ed in investimenti immediati che solo gli Enti Locali sono in condizione di fare.


Stimoli all’economia reale, preservazione delle nostre capacità produttive, impresa, lavoro; misure temporanee, ma effettive, consistenti! La crisi non è psicologica e non è alle nostre spalle. Purtroppo, gli effetti economici e sociali della crisi ce li abbiamo ancora davanti. E, soprattutto – ecco il punto di cui il Governo non vuole occuparsi – abbiamo davanti il rischio di una caduta di rango del nostro Paese, il rischio che vengono azzoppati, bloccati, contraddetti i processi di innovazione e di investimento e che ci troviamo all’uscita dalla crisi in una condizione più debole della nostra economia nel quadro internazionale.


In ogni caso, noi dobbiamo affiancare i protagonisti della crisi. Nel viaggio che farò, in occasione del Congresso, ovunque sarà possibile, cercherò di avere un incontro con i lavoratori, con gli imprenditori che sono sottoposti ai processi di crisi.


E invito tutti a fare altrettanto. Bisogna che il nostro partito ci sia. Poi si vede come fare ma, intanto, bisogna esserci, nei luoghi di questa crisi. Questa crisi scatenata dalla finanza ha origini in realtà, lo sappiamo, in politiche economiche squilibrate, fondamentalmente poggiate sull’idea che la ricchezza smisurata di pochi possa fare da locomotiva per tutti. E adesso, dagli Stati Uniti alla Cina, tutti sono costretti a cercare un nuovo equilibrio tra economia e società, mediato dalla politica; a cercare uno sviluppo più equilibrato dei loro mercati interni, a sviluppare un’attenzione più marcata di beni collettivi, a quelli ambientali, per esempio. E a tornare ai fatti fondamentali della produzione e del lavoro.


E allora, se è così, i principi di equilibrio sociale e di eguaglianza possono pretendere, oggi, più di ieri, di essere portatori di una razionalità economica. Si può affermare l’idea che nessun cittadino, nessun ceto sociale, nessun paese può star bene da solo se anche gli altri non trovano la strada per stare un pò meglio.


E, mi rendo conto, una prospettiva controversa, aperta ovunque – anche da noi – ad altri sbocchi di tipo protezionistico, difensivo, regressivo, ma pur tuttavia è un terreno nuovo, un banco di prova. Anche qui in Italia. Come in una crisi, che non sarà breve, suscitare un progetto, uno sbocco possibile, un orizzonte di cambiamento che impedisca una regressione strutturale del nostro sistema, sul piano socio-economico e anche sul piano culturale, ideale? Questo è un rischio che c’è, e che può portare a sbocchi politici che oggi non possiamo prevedere. Noi dobbiamo dunque uscire da questo congresso con un’idea positiva del nostro paese, un’idea che abbia concretezza. Non tocca ad un congresso fare un programma di governo, ma l’ispirazione essenziale di un programma sì, questo dobbiamo definirlo, in questo congresso.

Io comincio da qui. Tutto quello che si può fare per l’Italia viene disperso se non si aggrediscono le due questioni che ci caratterizzano tra i paesi maturi e che imprigionano le nostre energie. Le due questioni sono: primo, la più cattiva distribuzione della ricchezza; secondo, la minore mobilità sociale.


La ricchezza mal distribuita fra ceti e mal distribuita fra territori si accompagna da tempo ad un netto impoverimento, che dura da anni, dei ceti medi, dei ceti medio-bassi e bassi. Ad una riduzione sul pil dei redditi da lavoro, redditi spesso sempre più occasionali e precari. Fenomeni che sono ovunque nei paesi maturi, ma qui più accentuati. E su questi ceti indeboliti, su queste famiglie indebolite, si scaricano tutte le novità: la precarietà, il disordine di un’immigrazione che preme sul più basso decile di reddito, affolla quel decile di reddito, la non autosufficienza, che è in grado di mettere in ginocchio anche una famiglia a reddito medio, e tante altre cose ancora. Se non si coglie tutto questo, credo non si colga la sostanza, di cio che sta avvenendo nel paese e non si capisce neanche che cosa sia e cosa debba fare un partito popolare. Allo stesso tempo, i riflessi difensivi che scattano nelle fasi critiche aggravano i tradizionali assetti corporativi, relazionali, clientelari ai quali siamo da tanto tempo abituati nel nostro sistema. Blocchi che imprigionano enormi energie economiche e che imprigionano le prospettive delle nuove generazioni; sono blocchi che nella crisi si stringono ancora di più.

Su questi due punti fondamentali ci vogliono riforme, riforme vere che noi dobbiamo avanzare con una proposta che si faccia capire. A proposito dei redditi: se noi, nel futuro, vogliamo aprire – come vogliamo, per i principi che ci caratterizzano – una nuova fase universalistica dei sistemi di welfare, dove in via di principio non c’è povero nè ricco, allora innanzitutto dobbiamo qualificare, rendere sostenibile l’universalismo che c’è già.


Ad esempio qualificare e rendere sostenibile il sistema sanitario, imponendo le migliori pratica. Solo noi abbiamo la cultura di governo per fare davvero questa operazione, gli altri non ce l’hanno. E intanto che difendiamo l’universalismo che c’è, e che la qualifichiamo, dobbiamo introdurre nuovi universalismi, portare l’universalismo dove non c’è ancora. Il primo punto riguarda il dualismo del mercato del lavoro, che va assolutamente superato, aprendo, in particolare, dei processi univoci, ben definiti, di inserimento nel lavoro e di stabilità del lavoro.


Voglio ricordare a me stesso e a voi che i giovani che, a qualsiasi titolo, fanno la prima esperienza di lavoro – questo ci risulta anche dalle ultime elezioni – sono quelli che più si allontanano da noi. È ora di dire a loro qualcosa che si capisca. Di proposte per il superamento di questo dualismo ce ne sono diverse sul tavolo, bisogna discutere, stringere e promuoverle.


Bisogna occuparsi dei redditi di ultima istanza e bloccare processi di impoverimento estremo delle famiglie. Bisogna occuparsi di salario minimo, anche per vie contrattuali. Bisogna sollecitare davvero una contrattazione che distribuisca un pò meglio i guadagni di produttività. Bisogna favorire l’innalzamento flessibile e volontario dell’età pensionistica, ma al contempo aprire una riflessione più di fondo, perché quando il 54% delle nuove pensioni Inps 2007 è sotto i 750 euro e la tendenza è a peggiorare, vuol dire che nella prospettiva stiamo mandando un sacco di gente sotto la soglia di povertà.Questo non è accettabile e dobbiamo pensarci da subito e chiederci se davvero le “gambe” del sistema previdenziale, che abbiamo fin qui introdotto, non vadano arricchite, rafforzate, ristrutturate, aggiungendo anche uno zoccolo universalistico fondato sulla fiscalità generale a fronte di un calo significativo dei contributi. Così come non possiamo lasciare senza novità temi cruciali, come quelli della non autosufficienza e quelli delle famiglie numerose. Queste riforme possono reggersi, per una parte sostanziale, sul riequilibrio dei rapporti di convenienza interna e sulle risorse pubbliche già impegnate. Ma certamente non può essere rimosso, in un paese come il nostro, il tema della fedeltà fiscale, di una più equa distribuzione del carico fiscale, di una riformulazione della fiscalità d’impresa in modo più favorevole all’occupazione e soprattutto a meccanismi che inducano una fisiologia di emersione, di trasparenza, di tracciabilità nella formazione dei redditi e delle basi imponibili.

E sul tema della mobilità sociale è importante premettere un concetto: la liberalizzazione è il contrario del liberismo. Liberalizzazione è dare regole al mercato, evitando il dominio dell’uno sull’altro; il liberismo è il mercato che si dà le regole da sé e anzi pretende anche di imporle alla società, alla sanità, al sociale e così via. Dobbiamo attaccare con nettezza assetti corporativi e relazionali per l’accesso alle attività economiche, alle professioni e alla ricerca. Dobbiamo farlo senza paura, prendendo il punto di vista della nuova generazione e mettendolo dentro come un motore della nostra politica.


E così dobbiamo cambiare ottica, non possiamo parlare di casa solo a proposito di proprietà della casa, c’è bisogno di parlare anche di affitto, altrimenti nel paese non può esserci mobilità. E dobbiamo occuparci di più della progressione del lavoro delle donne, ampiamente discriminate, qualificare ed accorciare i percorsi di studio e cosi via. Voi lo sapete, propongo sempre di collegare il tema della mobilità sociale al tema della cittadinanza, della riscossa civica, di un nuovo civismo nel nostro paese. Responsabilità, merito, diritti e doveri, rispetto dei cittadini e in particolare del più debole, dell’escluso.


Qui ci sono tantissimi temi. Noi non possiamo non occuparci senza incertezze del tema della sicurezza, non nella prospettiva sicuritaria-repressivo-regressiva della destra, ma nella forma rigorosa del diritto del cittadino alla sicurezza, a cominciare dal cittadino più debole, a cominciare dalla liberazione del cittadino e dell’impresa da tutte le mafie.Dobbiamo assumere la questione dei diritti civili, essere in prima linea nella tutela del consumatore e portare questo famoso merito dal cielo alla terra; il che vuol dire accettare meccanismi di valutazione esterna in ogni campo, altrimenti parliamo di merito assolutamente in astratto. E dobbiamo anche essere in prima linea nel pretendere l’efficacia delle sanzioni, a cominciare dalla giustizia civile. Sapete in questa crisi quanti artigiani si sentono dire dal cliente: guarda i soldi ti sono dovuti ma io non te li dò, rivolgiti pure all’avvocato o a chi vuoi, tanto ci vogliono dieci anni? Non è una cosa tollerabile! E cittadinanza vuol dire tante altre cose: promuovere la cittadinanza digitale, per esempio, con i nostri Enti Locali, una battaglia di frontiera bellissima. Vorrei mettere qui, sotto questo grande titolo civico l’esigenza di cui dobbiamo caricarci, di riportare al centro della discussione la dignità e la fatica della condizione femminile, oggi insultata dai devastanti stereotipi e berlusconismi. Dobbiamo pretendere rispetto, rispetto per questa condizione. E dobbiamo mettere sotto il titolo della cittadinanza, temi delicatissimi, come quello dell’immigrazione. Noi siamo perché l’immigrato regolare acquisisca i diritti e i doveri della cittadinanza e accompagniamo quel processo secondo principi di solidarietà, di umanità che deve prevalere comunque sopra ogni altra cosa. Ma non dimentichiamo mai che se c’è disordine e approssimazione nella regolazione dei flussi migratori quel disordine e quella approssimazione si scaricano sulla parte più debole della popolazione. Se ce ne dimentichiamo, non potremo lamentarci del diffondersi di idee regressive in chi può pensare, a ragione o torto, che si possa fare un mondo perfetto a spese sue. C’è un impatto da distribuire meglio, più equamente, tra chi fruisce più direttamente dell’immigrazione e chi può averne, a torto o ragione, paura. A cominciare dalla pressione sui servizi pubblici.

E, infine e non per ultimo, metto sotto questo tema della riscossa civica – come dicevo - il tema della sobrietà della politica, a cominciare dalle muraglie cinesi fra interesse pubblico e privato. E a cominciare dai costi della politica. Qui non c’è bisogno di qualunquismo, di populismo e anti-politica. C’è bisogno di procedere a parametrarci con i costi medi di ogni funzione della politica dei principali Paesi europei. Una misura molto semplice, non qualunquista, che credo potrebbe avere una buona efficacia.


Cari amici e compagni, dobbiamo essere un partito che dice le stesse cose al nord ed al sud.
È diventato molto difficile, ma come direbbe Vasco siamo solo noi che possiamo farlo. Siamo solo noi. Il Nord, oltre che un luogo geografico, è una metafora dei ceti produttivi e più esposti alle dinamiche globali. Non c’è possibilità alcuna di rafforzare il nostro radicamento al nord senza correggere verso ceti popolari, ceti produttivi, lavoro, impresa l’asse generale delle nostre politiche. Non c’è alcuna possibilità fuori da questo. E questo, tuttavia, deve svolgersi in una reciprocità con la questione meridionale.

Per esperienza posso dire una cosa: se fai delle riforme parli che si rivolgono alle esigenze di modernizzazione del Paese rispondi al nervosismo, all’insofferenza del Nord; ma metti anche in moto le dinamiche nelle aree meno sviluppate del Paese. E questo è ovvio, perchè là sono le energie potenziali. Allora, per esempio, se faccio liberalizzazioni, funzionano più al sud che al nord, se supero intermediazioni, come per esempio nelle incentivazioni della pubblica amministrazione, piaccio al nord, ma faccio un enorme piacere al sud.


Cosi se mi occupo di sicurezza, di funzionamento della giustizia, allora una stagione di riforme di modernizzazione che liberi energie potenziali al sud e parli al nord del Paese è possibile, si può fare. E naturalmente, costruendo questa reciprocità, non può essere oscurata la parola “Mezzogiorno”, che oggi viene devastata, rimossa, male interpretata. Dobbiamo pronunciare questa parola con proposte nuove, che siano impugnate anche da una nuova generazione di protagonisti.


Gli investimenti al sud vanno garantiti, non vanno rubati, rapinati e dispersi. Ma si possono fare in altro modo, come avevamo cercato di impostare: meccanismi automatici, non intermediati, per sostenere gli investimenti di impresa. Meccanismi premiali che premiano chi raggiunge certi standard di servizi, sto parlando di rifiuti, sto parlando di acqua, sto parlando di istruzione, sto parlando di anziani. Piani nazionali sui beni collettivi: energia, acqua, ambiente.


Questa ricerca di reciprocità, in un partito che vuole essere un partito nazionale ma federale, la si gioca su un buon assetto del federalismo. Non vado al concreto, è un tema complesso di cui non voglio parlare qui. Qui sto alla politica. Dico che, essendo un partito nazionale, noi dobbiamo però operare una forte ripresa sul piano politico e culturale della grande tradizione autonomista che sta nelle nostre radici e di cui troppo spesso ci dimentichiamo
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Un autonomismo che è il nostro e non è il loro! E non dobbiamo accettare lezioni da loro. Perché, alla fine, gli asili nido e le aree artigianali li abbiamo inventati noi, bisogna sempre ricordarselo! Non ce ne ricordiamo abbastanza. Non possiamo essere un partito delle autonomie dei territori, come ci diciamo spesso, se ci limitiamo a fare proposte normative. Dobbiamo far proposte normative, ma dobbiamo approfondire e rilanciare la nostra cultura autonomistica nel merito, nei contenuti e dobbiamo darci un’organizzazione di partito coerente con tutto questo. Ci vogliono tutte e tre queste cose.


Credo molto all’energia che può venirci dalla crescita della soggettività politica dei nostri amministratori. Credo alle amministrazioni come leva fondamentale di selezione delle classi dirigenti
e perché non manchi un saluto a tutti i nostri amministratori che sono sul fronte, voglio rivolgermi, per tutti loro, ai nostri amministratori aquilani che non lasceremo soli in un impegno terribilmente difficile e con un Governo che ha sbagliato dal primo giorno il rapporto con loro. Altro che il G8!

Spero di avere possibilità di sviluppare in altre sedi, non posso farlo qui, qualche altro cardine di una politica riformista. Ci sono un paio di punti che non voglio banalizzare in tre righe, sui quali voglio organizzare due appuntamenti specifici: il primo riguarda il salto di rango di tutta la filiera della conoscenza, come fare del nostro partito la punta avanzata che garantisca un passaggio dell’Italia alla società della conoscenza. E non vado nel dettaglio, su questo faremo un’iniziativa specifica.


Il secondo punto, che ugualmente non voglio banalizzare, è il grande tema delle politiche produttive e industriali nel loro collegamento con la conoscenza e nel loro collegamento col grande tema ambientale, che è la nuova grande frontiera di innovazione industriale, di qualificazione dei consumi e di miglioramento della qualità della vita. Quindi rimando i temi ai due appuntamenti che organizzeremo.


Sulla piccola impresa però, parlando di innovazione, di politiche industriali, vorrei dire una parola. Noi dobbiamo veramente fare qualcosa di visibile, di concreto su un paio di punti. Uno è alleggerire l’impresa dal peso della rendita finanziaria e immobiliare, l’altro è cercare nuovi sistemi di relazione e una partecipazione più attiva, più vicina, dei lavoratori alla vita dell’impresa.

E bisogna anche che noi superiamo davvero una barriera mentale che c’è tra noi e la piccola impresa. Bisogna che ci diciamo, molto semplicemente, che un imprenditore privato, cooperativo, artigiano, commerciante che sta nelle regole fa pienamente parte del nostro progetto, è un protagonista del nostro progetto! Mi ha veramente colpito, ( sono figlio di artigiani anch’io),un mese fa, la vicenda di quell’artigiano di Treviso, Walter Ongaro, che angosciato dalla crisi, probabilmente per la preoccupazione di dover licenziare delle persone con cui aveva lavorato per decenni, si è tolto la vita. Voglio inchinarmi a lui come a tutti i morti sul lavoro. Vorrei infine che fosse convocata dal nostro partito una grande conferenza sulla riforma della Pubblica Amministrazione, un tema su cui noi dobbiamo superare ritardi nella nostra cultura di governo.


C’è un punto di cui dobbiamo essere consapevoli: noi abbiamo bisogno del buon nome della Pubblica Amministrazione per le nostre politiche che richiedono spesso l’intermediazione della Pubblica Amministrazione, l’urbanistica, la sanità universalistica e così via. Gli altri, per le loro politiche, hanno invece interesse al cattivo nome della Pubblica Amministrazione, per le loro politiche deregolative. E, quindi, loro non ci risolveranno il problema! Infatti, ogni loro riforma non va oltre ad un richiamo all’ordine e c’è sempre dentro un insulto, un insulto che noi rifiutiamo, rigettiamo.

Riformare non è questo. Ma dobbiamo saperlo anche noi che cosa vuol dire riformare la Pubblica Amministrazione. Vuol dire fare quello che si fa normalmente dentro le politiche industriali e cioè avere meccanismi permanenti per adeguare la missione in ogni area dell’Amministrazione, avere strumenti che rendano praticabili le conversioni organizzative, per adeguare via via la Pubblica Amministrazione al mondo che cambia. E tocca a noi tutto questo, gli altri non lo faranno e scaricheranno sempre politicamente su di noi l’inefficienza o il cattivo nome della Pubblica Amministrazione. Naturalmente, avanzare una piattaforma significa aprire il dialogo con le organizzazioni sociali. Chi mi ha visto all’opera negli anni lo sa; io credo profondamente ai rapporti con i corpi intermedi e sono quasi un cultore, se così si può dire, della sussidiarietà, e sento di dover dire anche qui, ad esempio, che il mondo del lavoro in un passaggio così difficile ha bisogno che il sindacato ritrovi la strada della convergenza e dell’unità.


Ma so anche qual è la responsabilità nostra, di un partito politico; una responsabilità che non abbiamo sempre esercitato in questi venti mesi, diciamocelo. Tocca alla politica pronunciare un’idea di società. Le organizzazioni sociali, i corpi intermedi vogliono fare il loro mestiere e gradiscono che tu faccia il tuo, discutendo con loro, certo, ma sapendo anche dove possono trovarti, in modo che ciascuno possa praticare la propria autonomia. Diamoci dunque il progetto, diamoci un’idea di società. Ci risulterà più facile anche allargare il confronto con tutte le forze sociali.


E proprio qui, parlando di riforme, di contenuti, di innovazione, vorrei mettere – mi costa anche un pò per il carattere che ho – l’unica notazione personale di questo discorso. Vedo bene che da molte parti si cerca di mettere una patina di grigio sulla mia candidatura. Ora voglio dire semplicemente che, da quando cominciai, (molto giovane, girando a far politica per dei paesini di montagna) sono stato poi in tantissime responsabilità, e mi sono sempre preso la briga di cambiare. Non ho mai lasciato le cose come le ho trovate. Si può controllare.

E non le ho mai lasciate come l’ho trovate per due semplici motivi, di cui uno addirittura banalissimo: ho sempre pensato che la terra gira tutti i giorni e tutti i giorni devi cambiar qualcosa. E il secondo motivo è che questo mondo qua, questa società così com’è non mi piace del tutto. E, quindi, questa famosa innovazione, innovazione, innovazione… vorrei capire: ne parliamo a chiacchiere! Allora io non vorrei partecipare. Se ne parliamo a fatti, al contrario, io credo di aver qualcosa da dire.


Ma veniamo a cose più rilevanti che non i sassolini nelle scarpe: i nostri compiti politici; poi parlerò del partito e avremo concluso questa serata. Sui compiti politici, voglio dire prima di tutto che immagino le prospettive dell’Italia nello sviluppo di una politica estera di pace, di cooperazione, di corresponsabilità multilaterali, di rafforzamento e di riforma delle istituzioni internazionali, di una vera integrazione europea, di una forte soggettività dell’Europa, nella costruzione di istituti e regole della globalizzazione, di un suo protagonismo nella politica internazionale a cominciare dalle aree che sono a noi più vicine – i Balcani, il Medio Oriente, l’Iran insanguinato e preda di un nazionalismo aggressivo che vuole imporsi col pugno di ferro. Una politica estera secondo l’asse fondamentale di quella che è stata la politica estera dei governi di centrosinistra, che è riuscita a ridare ruolo, funzione, dignità alla nostra presenza nel mondo. Funzione e dignità che oggi sono dispersi in una politica estera da rotocalco e su questo; (siccome so che sono in sala dei rappresentanti del PD degli italiani all’estero, mandiamogli un applauso di incoraggiamento!)

Il ciclo politico mondiale è segnato ancora dall’evoluzione della crisi, dalle nuove dinamiche, della globalizzazione. In tutti questi anni la destra si è mostrata spesso capace di cogliere i frutti politici di queste dinamiche; di coglierne i frutti politici, sia dal lato della deregolazione, del liberilismo, sia dal lato delle paure che la de regolazione suscitava. Quindi la destra è riuscita a fare un pò tutte le parti in commedia.


Adesso in molte parti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, le forze progressiste si mostrano capaci di indicare una prospettiva nuova. In Europa le forze progressiste di sinistra, nella prevalente tradizione socialdemocratica, appaiono ferme sulle gambe e sono da tempo colpite dalla crisi del compromesso sociale, che è stato il luogo politico per eccellenza della costruzione, formazione e rafforzamento di queste socialdemocrazie. Un compromesso sociale che è risultato affaticato dai suoi limiti interni, affaticato da orizzonti esclusivamente nazionali – questo è stato un limite enorme – ma scosso, però, anche dalla frusta della globalizzazione che ci ha portato in casa degli effetti dumping sui salari, sui diritti, sulla fiscalità.


E queste forze non sono apparse in grado di indicare una prospettiva per l’Europa, a volte mostrando staticità, ripiegamenti e anche un qualche smarrimento dell’autonomia politica e culturale, come se bastasse a noi forze progressiste applicare più benevolmente le ricette degli altri. D’altra parte, la destra, anche nelle recenti elezioni europee, ha accumulato consenso, ma in modo spesso frammentato e imprigionato in formule difensive, addirittura regressive.

A me pare che da tutto questo, in sostanza, derivi una perdita d’orizzonte delle politiche europee come tratto fondamentale di questa fase, cioè un’assenza di direzione di marcia. Come dicevo, c’è un aggiustamento incombente degli equilibri economici e sociali fondamentali nelle diverse aree del mondo. E questo lascia aperta la strada, durante e dopo la crisi, a sbocchi politici di diverso segno. Lo ripeto, non c’è dubbio che l’affacciarsi, a livello mondo, di nuove esigenze di regolazione e di un ruolo della politica nel determinare compatibilità sociali e ambientali della crescita offre il terreno per una fase nuova di elaborazione di iniziative delle forze democratiche e di sinistra europee. Una possibile riscossa alla quale i democratici italiani devono contribuire, a partire dalla nostra situazione nazionale.


Nella dimensione italiana, la fase che si è aperta negli anni Ottanta ha determinato una riorganizzazione della politica, prima segnata da condizionamenti ormai estenuati della logica dei blocchi, poi dal vuoto lasciato dalla caduta del muro e dall’impronta di anti-politica con cui quel vuoto si è andato via-via chiudendo.


Noi abbiamo avuto una fase di consolidamento bipolare, che bisogna riaffermare, ma che ritengo stabilizzata nella sua essenzialità e, tuttavia, irrisolta nella sua forma. Noi abbiamo vissuto un periodo nel quale Berlusconi, sostanzialmente, ha riorganizzato e reso utilizzabile per il governo del Paese tutto il campo del Centrodestra. Questa è stata la grande novità. Una fase nella quale il Centrosinistra ha conteso il governo del Paese, non senza risultati rilevanti, a cominciare dal grande appuntamento dell’Eur, ma senza trovare ancora una vera organizzazione del campo, nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Romano Prodi, che voglio salutare da qui.


Nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Prodi – dicevo - e nonostante la nascita del Partito Democratico. Nessuno, peraltro, è riuscito in questi anni a sfondare davvero elettoralmente nel campo altrui; incursioni sì, sfondamenti no. Nel nostro Paese esistono dunque le potenzialità del ricambio, ma c’è ancora la presa di una leadership conservatrice con dei tratti fortemente ideologici.


Questa leadership mostra con evidenza di esser sempre tentata ogni giorno di mettere il consenso davanti alle regole, di utilizzare il Governo per accumulare consenso, piuttosto che utilizzare il consenso per conseguire risultati veri, di governo, misurabili, utili alla riscossa del Paese. E, quindi, si rendono via via più evidenti sia i rischi di deformazione della nostra democrazia in senso populistico, sia le contraddizioni che la leadership conservatrice apre nei suoi rapporti col Paese. Non possiamo sottovalutare che le ultime elezioni hanno comunque segnato una battuta d’arresto della spinta propulsiva di Berlusconi.


Quindi bisogna determinare con maggiore chiarezza di quanto non sia avvenuto fin qui il compito politico del Partito Democratico. Per me, questo compito si presenta con tre aspetti intimamente connessi: profilare meglio la nostra identità, il nostro progetto; tenere aperto il cantiere del partito; contribuire con efficacia all’organizzazione del campo del Centrosinistra. Sono convinto che un nostro profilo più leggibile, un’idea più chiara di partito potranno aiutarci, nei mesi successivi al Congresso e sulla base di vincoli programmatici, nella possibilità di riaprire un percorso di convergenza con formazioni ambientaliste di sinistra e civiche, che non hanno fino ad oggi partecipato alla costruzione del Partito Democratico.

L’originaria ispirazione dell’Ulivo non può essere rimossa, nè vivere solo in una chiave evocativa, perchè non è infatti esaurita la questione sostanziale dell’incontro fra tutte le culture, le esperienze politiche e progressiste ancora oggi divise. E, tuttavia, questo non può essere un compito esaustivo; si deve accompagnare all’esigenza di riconoscere l’autonomia e la responsabilità di altre forze del Centrosinistra e dell’opposizione e di tracciare i primi passi politici per una riorganizzazione del campo dell’alternativa. Da soli non si può fare nulla.


La vocazione maggioritaria del PD non può lasciare immaginare un ruolo esclusivo, va interpretata invece come capacità di presentare un progetto aggregante di governo del Paese e come responsabilità primaria nella costruzione di alleanze per una prospettiva politica di alternativa. Credo che il quadro di alleanze non sarà predefinito dal nostro congresso; deriverà da un percorso politico e programmatico e il primo grande ambito nel quale delimitare e proporre il confronto è quello della democrazia: istituzioni, regole, meccanismi elettorali. La curvatura populista, quando non plebiscitaria, con cui Berlusconi sta caratterizzando la Destra italiana, dov’è che prende consistenza? Prende consistenza, oltre che in meccanismi impari di comunicazione, in un’ibridazione di fatto fra modello presidenziale e modello parlamentare, una sorta di continuum fra Governo e Parlamento che la legge elettorale attuale ha reso agevole.


Qui c’è una pericolosa deriva, che va interrotta, sia con una moderna legislazione antitrust nel campo della comunicazione, sia con una coerente riforma istituzionale ed elettorale. Ora, per un paese a democrazia matura, la scelta non può che essere fra struttura parlamentare e struttura presidenziale, ciascuna con i suoi contrappesi.


Tenendo conto delle caratteristiche nostre, del sistema politico italiano, della nostra tradizione, noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato e razionalizzato. E questo comporta, secondo proposte già avanzate in sedi culturali, in sedi parlamentari, un irrobustimento dei poteri dell’Esecutivo e del Premier e un irrobustimento delle forme di controllo del Parlamento, anche rivisitando i regolamenti. E la legge elettorale dovrà essere coerente con la forma di governo, dovrà evitare quindi ogni ritorno al proporzionalismo puro e perseguire un buon equilibrio fra rappresentanza, stabilità, governabilità, muovendosi nell’ambito di un bipolarismo nel quale l’elettore pretende di avere visibilità del quadro di alleanze e della loro stabilità. Questo equilibrio si può ottenere attraverso sistemi misti, ma la chiave politica è questa: la misura di questo equilibrio dovrà essere ricercato dialogando con tutte le forze politiche e parlamentari interessate a opporsi ai rischi di deformazione della democrazia, insiti nel modello della destra.


Quello che è essenziale è la valorizzazione massima del rapporto fra eletti ed elettori, un rapporto che è devastato dall’attuale legge elettorale e che può essere ristabilito riaffermandolo in particolare attraverso i collegi territoriali. Siamo interessati a ricercare per le vie parlamentari un percorso di riforma delle istituzioni, della legge elettorale, dei regolamenti e contribuiremo a questo percorso promuovendo un confronto con le forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento.


E a questo grande ambito della democrazia noi dobbiamo affiancare anche la ricerca di una convergenza politica e programmatica sui temi economici e sociali, perché l’esigenza di proporre soluzioni sulle concrete condizioni di vita dei cittadini è percepita ampiamente oggi, quindi il PD promuove la centralità di questi temi, e chiede a tutte le forze d’opposizione un confronto e una iniziativa comuni, a partire dalle questioni cruciali della crisi. E qui c’è un punto importante. Credo che il PD debba esprimere la cifra della sua opposizione alla Destra, saldando la questione democratica, la questione economica e sociale. Perché privilegiando nella battaglia di opposizione un solo aspetto della crisi italiana, si rischia di assumere un ruolo minoritario o di denuncia impotente.


L’opposizione che serve è quella che, caratterizzandosi con nettezza e senza ambiguità, lascia intravvedere la costruzione progressiva di una nuova prospettiva di governo, sia dal lato dei contenuti, sia dal lato della costruzione di uno schieramento alternativo e già nelle prossime elezioni regionali si dovranno sperimentare su basi programmatiche larghi schieramenti di centrosinistra, alleanze democratiche di progresso alternative alla destra.


Le cose che ho detto fin qui sono una linea, non sono naturalmente la Bibbia. Io intendo mettere le cose che ho detto ed altre in un circuito che consenta di raccogliere lungo tutto il percorso congressuale i contributi, gli affinamenti, gli arricchimenti sia nel percorso interno al partito, sia nei circuiti della rete.
Perché su un asse coerente questi contenuti, si devono migliorare, (credo che abbiamo il modo, in questa lunga vicenda derivata da uno statuto un pò farraginoso e barocco, di arrivare ad una partecipazione attiva di tantissima gente. Ci organizzeremo per ricevere contributi anche sui contenuti. Così come faremo anche per la parte che riguarda il tema del partito.

La questione che ci si è posta nei mesi scorsi, secondo me, non è se essere un partito vecchio o un partito nuovo, ma se essere o no un partito. Se essere o no un’associazione volontaria, che avendo una ragione sociale, si dà un’organizzazione, un radicamento, dei luoghi di discussione politica effettiva, di partecipazione efficace degli aderenti, nonché una disciplina liberamente accettata e condivisa. Tutto questo non può essere risolto semplicemente ovviandolo con meccanismi di leadership mediatica o comunicativa, nè con meccanismi che garantiscano il semplice assorbimento della società così come essa si presenta.
(Quasi fossimo un’idrovora e l’idrovora poi gira nei due sensi, secondo come la registri: o assorbi tu la società, o ti assorbe lei. Ma non fa molta differenza.)


Il mancato chiarimento di questi punti fondamentali ha fortemente indebolito il nostro progetto, disperdendo energie, incentivando frammentazioni e, diciamolo pure, provocando delusione e ripiegamento sia di chi immaginava delle forme di condivisione, di militanza più tradizionali, sia di chi si attendeva una forte innovazione che, comunque, garantisse una partecipazione politica. Quindi, dico che è urgente correggere la costituzione formale e materiale del Partito Democratico; è urgente innanzitutto prendendo sul serio il nome che ci siamo dati. Propongo concretamente e precisamente queste essenziali direzioni di cambiamento: il Partito Democratico è un partito di iscritti e di elettori. La sovranità appartiene agli iscritti che, sulla base di regole, la delegano in determinate occasioni agli elettori.


Quindi agli iscritti è riconosciuta una serie di diritti fondamentali, anche con strumenti incisivi come il referendum, e il radicamento organizzativo sul territorio, nei luoghi di studio, nei luoghi di lavoro è la condizione effettiva di un’apertura efficace agli elettori.


Credo di dover ribadire – mi sono attribuite sciocchezze a questo proposito – il valore democratico delle primarie fra gli elettori, per le scelte dei candidati alle cariche monocratiche: sindaci, presidenti di provincia e regione e presidente del consiglio. E aggiungo che le primarie non possono essere semplicemente una procedura elettorale, ma un’occasione per costruire forme anche parziali di partecipazione, di coinvolgimento, di relazione organizzata fra partito ed elettori. Aggiungo anche che le primarie dovranno svolgersi nell’ambito delle coalizioni di cui il PD fa parte, perchè la scelta delle candidature rappresentative del PD nelle primarie deve essere determinata con metodo democratico dagli iscritti e dagli organismi del PD. Il Partito Democratico è un partito nazionale organizzato su basi federali, ma bisogna capire che cosa vuol dire. Ha radici nel territorio, seleziona lì le sue classi dirigenti, attribuisce e garantisce a scala territoriale le fondamentali risorse. Il finanziamento derivato da rimborsi elettorali per elezioni regionali, del tesseramento, delle feste, contributi dagli amministratori dovranno essere destinate ai circoli e alle organizzazioni provinciali e regionali. E una parte del finanziamento elettorale nazionale europeo dovrà essere destinato ogni anno a progetti di radicamento del partito nella società, laddove siamo più deboli.


Aggiungo anche che la rappresentanza politica dovrà tenere conto, secondo me, stabilmente della dimensione territoriale. Quindi, nel rispetto del pluralismo congressuale, ogni organo dirigente dal livello provinciale a quello nazionale per la metà deve essere formato da rappresentanti designati dai livelli sottostanti.


E gli organi dirigenti dovranno avere una dimensione numerica tale da consentire un’effettiva discussione politica e delle deliberazioni consapevoli, perché quando si è in troppi nessuno decide nulla e poi si decide in tre. Questo bisogna dirlo, e correggerlo! Inoltre, noi dobbiamo fissare che, qualunque sia il sistema elettorale per il parlamento nazionale, la grande maggioranza delle candidate e dei candidati dovrà essere determinata dai livelli territoriali con metodo democratico. Se facciamo così, allora io credo davvero che lo scorrimento fra esperienze territoriali e nazionali sarà il meccanismo fisiologico con cui procedere alla selezione delle classi dirigenti e al loro rinnovamento anche generazionale. Altrimenti, non ci si riesce, si fa solo cooptazione. Questa è la mia profonda convinzione.


Il Partito Democratico, per definizione, è pluralista. Il pluralismo deriva dai confronti congressuali. Il partito persegue la parità di genere. Il pluralismo si esercita in forme tali da garantire l’espressione univoca delle posizioni del partito. E ciò significa, fatta ovviamente salva la più larga libertà di espressione e la piena partecipazione al dibattito interno al partito, ai gruppi consiliari e parlamentari, l’accettazione del principio di maggioranza e del vincolo alla posizione comune nelle sedi istituzionali.


Le eccezioni a questo principio, perché sicuramente ci sono delle eccezioni, devono essere espressamente previste da un organismo di garanzia di rango statutario.


Credo che il partito sia anche un’associazione culturale, che promuove cultura politica, che si alimenta nella ricerca e nel dibattito critico e che vive in una osmosi col vasto, articolato mondo dell’intellettualità democratica. Quindi il partito deve produrre una lettura critica della società, produrre formazione, vivere un rapporto attivo con le forze intellettuali. Non possiamo spendere tutti i soldi che abbiamo in comunicazione; bisogna che li spendiamo un pò anche in analisi, in ricerca, in aggiornamento culturale.


Abbiamo risorse enormi, organizzate in associazioni e fondazioni con cui avere un rapporto anche stabile. E dico anche che il partito è anche una comunità di persone, di donne, di uomini e deve produrre una socializzazione a modo nostro. Quindi, per me, le iniziative a dimensione popolare, le feste, sono una parte costitutiva dell’attività di partito. Non vedo per quale deviazione mentale la promozione di nuovi strumenti di comunicazione da incoraggiare senza titubanze dovrebbe contraddire questo assunto. Non vedo perché. Il PD si deve dare forme organizzate, flessibili, temporanee, permanenti, associative per garantire rapporti con le organizzazioni sociali, del lavoro, dell’impresa, dei consumatori, del volontariato e questo deve avvenire ad ogni livello dell’organizzazione. E il partito deve organizzare la rete comunicativa dal basso verso l’alto, ogni sede deve essere un nodo della grande rete on line del partito. Poi la cosa essenziale: il partito deve avere la massima cura, ad ogni livello, della sua autonomia politica. Credo che questo sia un punto dirimente. Ad ogni livello si devono determinare le condizioni di questa autonomia, che a volte sono condizioni di tipo anche materiale-organizzativo. Ad ogni livello il ruolo di direzione del partito e di leadership istituzionali deve esser tenuti distinti. Non deve, in premessa, esistere automatismo fra ruoli di direzione del partito e candidature a compiti istituzionali. Sulla base di queste essenziali indicazioni, credo abbastanza precise, (e altre ne potrei produrre,) io dico che si deve procedere con immediatezza alle modifiche allo statuto, alla revisione degli assetti organizzativi degli organismi di direzione politica, e dell’attribuzione delle risorse finanziarie.


Quando mi capitò, venti mesi fa, di definire partito liquido il rischio che avevamo davanti, mi si volle descrivere come un partitista vecchio stile, pronto a fare la riedizione di una specie di primato del partito. Era esattamente il contrario e forse ora lo si può capire meglio. Un partito non è mai un fine, è un mezzo, è uno strumento per promuovere cambiamenti utili alla vita collettiva; (come avviene per ogni associazione, la nostra ragione sociale è fuori di noi.)


La ragione sociale del partito è il Paese
e se vogliamo essere utili al Paese dobbiamo essere un partito che funziona, che crea solidarietà ed appartenenza e che traduce la partecipazione in iniziativa esterna, senza farla girare su se stessa. Questo è molto semplicemente quello che penso e quello su cui voglio confrontarmi.

Ho finito cari amici e compagni. Ho cercato di metterci poca retorica e un pò di chiarezza. Spero di esserci riuscito. Dicevo all’inizio che in questo momento serve la testa. Concludendo, voglio dirvi però che ci vuole anche il cuore, ma il cuore non deve battere tanto per il leader o per il partito. Mentre guardiamo avanti, ricordiamoci per un attimo, non solo delle responsabilità enormi che abbiamo nel futuro, ma anche di quelle che abbiamo rispetto al passato. Centocinquant’anni nei quali tanta gente, pronunciando le nostre stesse parole, le ha pagate ad un prezzo ben più alto del nostro.


Dico che se andassimo nel futuro senza sentire questo legame, saremmo come astronauti persi nello spazio. Il cuore deve battere soprattutto per l’antica e modernissima idea che questo mondo e questo paese possono essere davvero concretamente un pò più umani e un pò più giusti.


Io dico che chi ci crede è giovane e che è vecchio chi non ci crede più.
GRAZIE

mercoledì 8 luglio 2009

PITTORE TI VOGLIO PARLARE

Bene l’iniziativa di Delbono per ripulire la città dai graffiti. Emergono problemi organizzativi e di gestione (sovrintendenza docet…). Mi chiedo: una volta ripulita, nell’ipotesi di riuscirci veramente, come si fa a mantenerla pulita? Allora direi:
PITTORE TI VOGLIO PARLARE
La zona universitaria e il centro in genere sono l’immagine di Bologna. La sua difesa sia affidata al controllo notturno di pattuglie di vigili urbani che segnalino e impediscano devastazioni, scritte, porcherie varie. Non fermandosi al centro ma estendendosi a tutta Bologna. In contatto con Ps e Cc.Bisogna coinvolgere i giovani, gli studenti. Cercare di portare i writer, i graffitari della bomboletta a ragionare su cosa farebbero se potessero pensare un pezzo di strada. Cosa programmerebbero, invece di scarabocchiare una scritta e scappare. Tramutare i nuovi barbari in nuovi cittadini. Senza rinnegare la loro cultura. I vandali veri possono essere isolati solo dagli altri giovani, in un confronto continuo, programmato, fin istituzionale. Progetto difficile ma realizzabile.Ci sono giovani disponibili, con grande volontà e senso civico che hanno voglia di partecipare al governo della città. Non disperdiamo questo patrimonio, valorizziamolo il più possibile. Anche così si rinnova la generazioni dei nostri amministratori

SALVAGUARDIAMO LE COSE BUONE CHE DANNO SENSO ALLA CITTA'

L’articolo che segue pubblicato dalla signora Franzoni, mi fa riflettere su quante opportunità di incontro, di socializzazione, di cultura, offra in realtà la nostra città. Purtroppo, a mio giudizio, queste iniziative non sono abbastanza note ai cittadini che, a volte ne vengono a conoscenza per caso. Mancano cioè di coordinamento e di visibilità. Penso che gli assessorati alla cultura ed al welfare dovrebbero aprire un punto di ascolto per fare una vera e propria mappatura delle iniziative socio-culturali che la città offre nel corso dell’anno. In questo modo l’amministrazione comunale può sia coordinarle, evitando, ad esempio, inutili sovrapposizioni, oppure abbinando iniziative che siano collegabili tra loro, sia darne il giusto rilievo con periodiche comunicazioni (affissioni pubbliche in luoghi strategici con date, orari, luoghi…).In questo modo, l’amministrzione comunale avrebbe un ruolo di regia organizzativa con l’obbiettivo di valorizzare il più possibile tutte le iniziative che la città già offre.Questo mi sembra anche un buonissimo modo per fare “cultura” quotidiana, la più utile per noi cittadini.


di Flavia Franzoni (Pubblicato sul Blog di Repubblica Bologna: http://balzanelli.blogautore.repubblica.it)
Tre giorni alla settimana dalle 18 alle 20 al Giardino del Guasto si vedono giocare più di 50 bambini. Un gruppo coinvolto in giochi organizzati, altri che fanno tranquillamente il bagno nelle strane vasche disegnate dall´architetto Rino Filippini. E insieme ci sono mamme (nonne nel mio caso perché accompagnavo due nipotini) e volontari del quartiere che "badano" ai bambini e chiacchierano, vicino ad uno dei luoghi più difficili della città, Piazza Verdi. Un po´ di controllo del territorio, un po´ di cittadinanza attiva. Anche in altri luoghi a Bologna puoi incontrare questi "climi", nelle tante feste scolastiche di fine d´anno in cui si sperimenta il diverso modo di mangiare delle famiglie immigrate. Feste sempre arricchite da recite, cori e poster che raccontano di visite a musei, teatri, o giardini botanici, etc.) testimoni della ricca didattica in cui si sono impegnati tanti maestri ed educatori (e qualcuno pensa di poterne fare a meno!). Insomma nella nostra città, pur con tutti i suoi difetti, ci sono luoghi e momenti in cui si è un po´ più contenti. E osservando queste cose, mi vengono in mente tanti altri episodi, anche molto diversi. Sono capitata ad un concerto di clavicembalo organizzato nell´ambito del Festival di Santo Stefano, organizzato per raccogliere fondi necessari al restauro della basilica. Ad ascoltare un sorprendente e raffinato concerto di Bach tanti appassionati ed esperti, ma anche persone come me che si lasciano semplicemente coinvolgere dalla dolcezza dell´incontro tra la musica e l´ambiente. Sono stata poi presente per caso in Piazza Maggiore dove si proiettava "Tempi difficili", di Luigi Zampa, recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna. Un film bello, che ha catturato la gremitissima piazza per la sua attualità seppure girato nei primi anni del neorealismo (1948). E poi la sala Marco Biagi , piena di studenti delle scuole superiori per l´evento finale dei Laboratori di scrittura e video organizzati dal Teatro del Pratello quest´anno dedicati ai "Dialoghi sul pregiudizio" in cui hanno lavorato insieme i ragazzi ospiti dell´Istituto Penale Minorile e quelli delle scuole bolognesi. Bologna offre tante occasioni culturali in cui «si sta bene» perché le condividi con molti amici. Pensiamo all´Aula magna di Santa Lucia straripante di persone e di tanti ragazzi che ascoltano la lettura dei classici organizzata dal Dipartimento di latino. E tante altre iniziative distribuite nei nostri quartieri.
Ma ci sono altre immagini che danno senso alla città. Nei giorni scorsi per le strade di Bologna si avvistavano tanti gruppi di ragazzini (identificabili dai cappellini di riconoscimento) coinvolti nelle varie iniziative di «Estate ragazzi». Molte Parrocchie e tanti volontari offrono alle famiglie una occasione educativa, ma anche un aiuto per «tenere i bambini» nelle settimane difficili in cui le scuole sono chiuse e le famiglie non sono ancora in vacanza. E questo fa incontrare nelle sale e nei cortili parrocchiali bambini e famiglie diverse per reddito, cultura etnia. Un modo di autorganizzarsi della comunità. Naturalmente tutte queste iniziative affiancano e non sostituiscono il lavoro delle istituzioni pubbliche. E ce ne sono tante ancora (ho richiamato quelle che ho "incontrato" nelle ultime settimane). Non so se, rispetto ad altre città, abbiamo più o meno di queste iniziative. So però che quelle che abbiamo sono spesso di qualità, che i cittadini le sentono loro (e molte durano da anni) e che vanno meglio conosciute e valorizzate. Certo dobbiamo anche cancellare i graffiti, perché sono una distruzione del patrimonio di tutti. Alla mattina non vorremmo più trovare Piazza di Santo Stefano piena di bottiglie rotte e vorremmo che, ad una certa ora, si rispettasse il sonno dei residenti. Ma dobbiamo anche avere cura e tutelare le iniziative belle, ed essere riconoscenti ai tanti che se ne occupano. Questo per salvaguardare una particolarità di Bologna che è quella di saper «comporre» iniziative grandi e piccole. Molte di qualità, ma sicuramente tutte utili per costruire una comunità.
(Bologna,08 luglio 2009)

Sono candidata al consiglio comunale di Bologna con il Partito Democratico per Delbono sindaco

LE RAGIONI DEL MIO IMPEGNO
Mi sono iscritta al PD a Roma, dove lavoro spesso. Bologna e l’Emilia mi fanno da scuola. Non c’è buon governo senza buona sanità. Bologna lo ha insegnato con assessori come Eustachio Loperfido. Per questo la lotta qui è più importante. Ho chiesto di candidarmi per lottare insieme a chi sa unire, armonizzare stato sociale, conti economici, sviluppo. Lottare comunque, insieme. Ognuno portando il proprio cuore e il proprio cervello per difendere e migliorare una cultura, un ambiente, rapporti fra persone, sicurezze, tollerenze, bellezze da condividere. Voglio una Bologna, un’Italia che siano governate da donne e uomini. Non da Re Guaritori grandi e piccoli.

LIBERTA’ E’ PARTECIPAZIONE
Mancano i soldi, il governo Berlusconi taglia i finanziamenti ai Comuni. La crisi, l’attacco della destra devono farci tirar fuori tutta la nostra fantasia e la bellezza del lottare. Con concretezza, convinzione, umiltà. Questo credo sia il compito di un consigliere comunale: facendo funzionare al massimo la testa senza montarsi la testa.
Ancora più nella situazione attuale, dobbiamo far bella Bologna nella sua quotidianità. Nei quartieri e nel centro, nel traffico, nei portici, nei muri, nelle vetrine. Nei servizi sociali e sanitari, nella casa. Agire con i soldi che abbiamo, cambiare abitudini sbagliate, studiare insieme soluzioni. Inventarsi una partecipazione per il nuovo Millennio. Creare la Bologna dei cittadini. E’ la nostra proposta a un’Italia che vogliamo cambiare.

VIVA I QUARTIERI
Bisogna far cultura tutti i giorni, in tutti gli ambiti. Il degrado nasce dal distacco fra una città e i suoi abitanti. Quelli nati qui, quelli che vi arrivano per studiare e lavorare o solo per sfangare la vita. Gli immigrati. Folla composita. Non un tutto unico da incontrare in modo razziale, razzista.
Avete presente la gentilezza, la disponibilità, l’arguzia che si porta dietro un sacco di gente di Bologna? Si possono promuovere gruppi che passano in rassegna il proprio quartiere, segnano quello che non va: bidoni della spazzatura, scritte, sporcizia e via di seguito. E segnalano cosa si può fare. Riunirsi per decidere il da fare. Il Consiglio di quartiere diviene strumento di partecipazione quotidiana. Nessun miracolo, nessun paradiso, miglioramenti giorno per giorno. Bisogna inventarsi un modo di stare insieme. Bar disposti ad organizzare tornei, mini feste di strada, parrocchie da collegare, negozi da salvare, tanto si può escogitare, fare.

PITTORE TI VOGLIO PARLARE
La zona universitaria e il centro in genere sono l’immagine di Bologna. La sua difesa sia affidata al controllo notturno di pattuglie di vigili urbani che segnalino e impediscano devastazioni, scritte, porcherie varie. Non fermandosi al centro ma estendendosi a tutta Bologna. In contatto con Ps e Cc.
Bisogna coinvolgere i giovani, gli studenti. Cercare di portare i writer, i graffitari della bomboletta a ragionare su cosa farebbero se potessero pensare un pezzo di strada. Cosa programmerebbero, invece di scarabocchiare una scritta e scappare. Tramutare i nuovi barbari in nuovi cittadini. Senza rinnegare la loro cultura. I vandali veri possono essere isolati solo dagli altri giovani, in un confronto continuo, programmato, fin istituzionale.

NEGOZI, PORTICI, TRAFFICO
La bellezza non va però tutelata a senso unico. Bologna non può permettersi vetrine brutte. Il problema è della Sovrintendenza, ma le associazioni dei commercianti non possono non ragionare sul , sul rapporto fra negozi, mercanzia, serrande, insegne, interni per fare di Bologna una città con un richiamo ad hoc. Le strade di Bologna sono questo. Monumenti.
I portici sono questo: monumenti. La manutenzione non riguarda il pezzetto privato, ma deve coinvolgere tutto il percorso. Bisogna inventarsi strutture anche istituzuonali ad hoc.
Il traffico e la sua regolamentazione devono essere inseriti in questa visione di città bella, da godere. La mobilità è decisiva, ma lo è anche liberare il più possibile strade che sono il racconto di Bologna. Bologna non ha grandi monumenti, ma è un monumento come città. su questo bisogna ragionare. in tutte le città del mondo i centri che hanno risolto il problema del traffico (con garage, parcheggi, anche divieti) si sono arricchiti e hanno arricchito chi ci lavora. Punto spinoso da sempre, ma da affrontare a Bologna una volta per sempre.

DALLA VIA EMILIA AL WEST
La città è storia e mito: tanto più una città come Bologna. Bologna può diventare la CAPITALE SIMBOLICA di una storia cittadina che si fa storia nazionale. Formazione della città, dello Stato. Commerci. Integrazione. Giovani e vecchi. Cittadinanza. Cittadini e forestieri. Ospitalità. Guerra. Pace, Fede. Epoche. Valori. E' una storia in divenire.
Attorno si può creare un meccanismo vivo. Incontri, conferenze, spettacoli. Coinvolgimenti delle realtà locali. Università in testa, artisti, musicisti. Anche così si può tentare di recuperare, contattare i . I giovani. Insieme a loro, ricostruisci la storia.
Usare i contenitori esistenti, trovarne altri, come per il Museo della Memoria. Per ogni contenitore, una parola-chiave attorno a cui costruire il senso dell'intervento. Una specie di vocabolario cittadino. Un percorso fondato sulle PAROLE che costruiscono una città. Un esempio: via Fondazza. Ovvio il riferimento a Giorgio Morandi. Ma si potrebbe innalzare in quel luogo il discorso sulle ombre. Ombre di Morandi, ombre dei portici, convivenza, socialità dei portici, passeggio, pioggia combattuta. Se uno vuole pure OMBRE di Bologna: i suoi misteri, le sue lotte.

SCUOLE E MUSEI PER DIVERTIRSI
Il Comune di Bologna deve aprire uno “Sportello della Cultura” per tutti quelli che nella nostra città si occupano di cultura per ascoltare le loro richieste, iniziative. Per coordinarle in modo che la comunicazione sia univoca, faccia sistema.
Quasi ogni facoltà universitaria ha un suo museo, una sua biblioteca. Sono luoghi da vivere per la città. Creando uno scambio cittadini-ateneo con cui si combatte anche il degrado. Nella zona universitaria c’è anche il Teatro Comunale. Inventrasi eventi aperti al pubblico gratis in occasioni di grandi opere liriche o grandi concerti usando i musicisti, i cantanti. Abbinando il tradizionale al moderno.
Il Comune non ha finanziamenti sufficienti per l’estate. Teniamo aperti i musei alla sera. E’ anche il modo per creare un filo rosso, mostrare davvero che i musei sono Bologna.Quasi tutti i musei hanno un giardino interno. Animiamolo con musica, bar ed arrichiamolo con esposizioni estemporanee di artisti bolognesi. Oppure organizziamo in una piazza o in un cortile una sorta di gara tra scuole di ballo (a Bologna ne abbiamo tantissime), magari con i ballerini che trascinano gli spettatori.
L’abbiamo già fatto, rifacciamolo.
Oltre ai presidi delle facoltà universitarie occorre avvicinare i presidi delle scuole medie inferiori e superiori. Già esiste una sorta di esibizione teatrale tra le varie scuole superiori di Bologna. Occorre incrementare queste iniziative. Perché non rimangano di nicchia (solo parenti ed amici degli attori in miniatura) BISOGNA COINVOLGERE QUALCHE ATTORE PROFESSIONISTA, bolognese o di passaggio, allargare il discorso sul teatro, la vita di un attore, i grandi che hanno fatto il teatro….
Altro punto focale da valorizzare è l’Accademia di Belle arti, anch’essa nella “famigerata” zona universitaria. In quella sede già si tengono corsi sulla comunicazione dell’arte ed altro ancora. Già fanno qualcosa, ma per il momento è tutto a spot. Il cittadino passa per caso ad esempio in via Guerrazzi e trova sotto il portico un laboratorio di avvicinamento all’arte dedicato ai bambini della scuola materna ed elementare. Questi eventi non devono più essere casuale.

LA RETE DELLO SPORT
Chiamiamola RETE DELLO SPORT. Il termine figlio dei computer è abusato ma dà un’idea precisa quando si parla di amministrazione e della necessità di collegare le diversità, mantendole e insieme coinvolgendole in un programma unico. La Rete dello Sport può essere una grande opportunità per Bologna. Come realtà amministrativa ed esempio nazionale. La mia proposta è Vincolare la costruzione di qualsiasi impianto sportivo (e di ogni progetto ad esso annesso) all’impegno legale da parte degli operatori di procedere alla manutenzione di una serie di strutture sportive esistenti(centri civici, campi da calcio e basket, di sport vari, piscine, palestre). Vincolo con numero fissato di anni, da ridiscutere alla scadenza. Indispensabileun accordo con il Provveditorato agli studi ed il coinvolgimento dei Comuni nella zona metropolitana di Bologna. L’obiettivo è: Non costruire se non si recupera l’esistente. E’ una vera strategia politica, economica, culturale, di educazione civica ed azione programmatica

PROGETTO PROSPERITA’
Prospettive strategiche e linee di proposta per il settore delle scienze della vita e delle applicazioni sanitarie
Le scienze della vita costituiscono la più importante e completa piattaforma di convergenza fra scienza fondamentale, aggregazione tecnologica, organizzazione dei sistemi di cura e personalizzazione dell’assistenza. Per questo è importante governare il complesso della catena del valore dalla ricerca fondamentale alle organizzazioni diagnostico-terapeutico-riabilitative territoriali. Lo sviluppo clinico è il perno tra ricerca, applicazione e diffusione di conoscenza. Tra apprendimento e momento organizzativo anche terapeutico. Soprattutto in relazione alle possibilità aperte dalle biotecnologie e anche all’integrazione, nel settore biomedicale, con le esigenze tecnologiche che si profilano all’orizzonte. L’obiettivo è lavorare sulla sanità territoriale affinchè entri nel grande circuito della ricerca clinica, snellendo le procedure, coinvolgendo i medici di medicina generale, gli infermieri dell’assistenza domiciliare, i poliambulatori. Si otterrano, aggiornamenti professionali, cure più avanzate, entrate economiche, utili alla sanità in questo momento di grandi tagli agli enti locali.

QUESTA E’ LA CITTA’ DOVE VOGLIAMO VIVERE

"Io sospiro per Bologna... dove i forestieri non trovano riposo per le gran carezze che ricevono... in Bologna, nel materiale e nel morale, tutto è bello... gli uomini sono vespe senza pungolo; e, credilo a me, la bontà di cuore vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima, e che la razza umana vi è differente da quella di cui tu ed io avevamo idea". (Giacomo Leopardi)


IL 21 e 22 GIUGNO VAI A VOTARE AL BALLOTTAGGIO

IL 21 e 22 GIUGNO VAI A VOTARE AL BALLOTTAGGIO
ORA FACCIAMO VINCERE DELBONO


ELEZIONI PER IL CONSIGLIO COMUNALE DI BOLOGNA

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Elezioni al Parlamento europeo del giugno 2009