Chiamiamola RETE DELLO SPORT. Il termine figlio dei computer è abusato
ma dà un’idea precisa quando si parla di amministrazione e della necessità di collegare le diversità, mantendole e insieme coinvolgendole in un programma unico. La Rete dello Sport può essere una grande opportunità per Bologna. Come realtà amministrativa ed esempio nazionale.
SITUAZIONE ATTUALE
1. Tutti gli operatori sportivi con ambizioni nazionali chiedono di costruire nuovi impianti nel territorio dove operano le loro squadre.
2. Questa richiesta è sempre collegata a grandi progetti di urbanistica residenziale.
3. Nei progetti, la valorizzazione di un territorio è complessiva: strutture, più edilizia privata e commerciale, più servizi, più infrastrutture, più trasporti, più traffico, più commerci eccetera. Ma riguarda solo una parte della città. Almeno direttamente: poi si può parlare di ricadute più generali, di immagine di Bologna e via di seguito. Ma è tutto indiretto e per certi versi ipotetico. Comunque tutto viene dopo l’opera principale. Non l’accompagna.
4. Questo meccanismo è destinato a creare disequilibri nel territorio cittadino, malumori, sentimenti di ingiustizia negli esclusi, polemiche, tiramolla a non finire, contrattazioni, rischi.
5. Non c’è nessun vero coinvolgimento della città nel suo complesso, nei suoi cittadini. Si guarda ai tifosi e alle strutture che di loro vivono. Ma la città nella sua totalità?
6. Non esiste nessun collegamento fra il nuovo che si crea e i tanti impianti vecchi spesso lasciati a loro stessi, ristrutturati a forza di buona volontà individuale o al massimo per qualche accordo individuale.
LA MIA PROPOSTA
VINCOLARE LA COSTRUZIONE DI QUALSIASI IMPIANTO SPORTIVO (e di ogni progetto ad esso annesso) all’impegno legale da parte degli operatori di procedere ALLA MANUTENZIONE DI UNA SERIE DI STRUTTURE SPORTIVE ESISTENTI. Vincolo con numero fissato di anni, da ridiscutere alla scadenza.
Parlo di centri civici, campi da calcio e basket, di sport vari, piscine, palestre. Strutture comunali, ma anche altre strutture pubbliche o private che abbiano la destinazione per uso pubblico. Nel caso delle strutture sportive scolastiche non comunali è necessario un accordo con il Provveditorato agli Studi. In caso di strutture scolastiche private si analizzerà caso per caso attraverso una Commissione mista (pubblica e privata, con tutti gli interessati) e si studieranno accordi e possibilità.
Lo stesso meccanismo deve riguardare qualsiasi ristrutturazione o amplimento o modifica delle strutture per gli sport di massa attualmente funzionanti: Stadio di calcio, palazzi per la pallacanestro, eccetera.
Ovviamente a fatturati e guadagni diversi corrisponderanno impegni economici diversi.
Indispensabile il COINVOLGIMENTO DEI COMUNI NELLA ZONA METROPOLITANA di Bologna.
Sono contrarissimo a qualsiasi ipotesi del tipo prima si fanno gli impianti importanti, poi si discute su tutto quello che gira attorno e sulle altre strutture bisognose di recupero e manutenzione.
Non esiste la strategia dei due tempi: si costruisce e si procede con manutenzione-restauro contemporaneamente.
Persino in termini di budget, finanziamenti, programmazione.
Anche perché i nuovi impianti non sono un obbligo né una necessità, ma UNA OPPORTUNITÀ. E devono esserlo PER TUTTA BOLOGNA. Per chi si interessa degli sport coinvolti e per chi no. Per chi abita nelle zone coinvolte e per chi sta lontano.
OBIETTIVI
Non costruire se non si recupera l’esistente. E’ una vera strategia politica, economica, culturale, di educazione civica ed azione programmatica.
1. Costringe a monitorare lo stato delle strutture sportive esistenti e a decidere cosa fare, fra degrado, restauro, abbattimento, nuova destinazione. E’ il punto più terra terra, ma costringe una città abbastanza immobile a vedere cosa ha, decidere in fretta cosa fare.
2. Porta allo scoperto una storia di Bologna, fatta di muri e di nomi, con la possibilità di fare una vera storia dello sport, dei suoi campi e dei campioni: chi ricorda Cavicchi o Canè? Cosa hanno significato per la Bologna del boom o degli anni della paciosità finita tragicamente?
3. Si dovrebbe creare un rapporto pubblico-privato non su UN AFFARE ma SULLA GESTIONE DELLA CITTÀ, almeno di uno dei settori più importanti. Brutalmente, diventano anche PIÙ DIFFICILI GLI ACCORDI SOTTO BANCO, il do ut des fra singoli.
Il privato diventa davvero IL SIGNORE DEL CALCIO, DEL BASKET,ecc... ma non per la squadra (non solo per lei) ma per quello che fa per la città. Ci si occupa di uno sport, non di una squadra.
Tutta la città è coinvolta nel progetto, dove si costruisce e dove si restaura, si mantiene, ci guadagnano da una parte ma anche dall’altra i ragazzi che usano i campi, i genitori, le scuole, i quartieri
4. Una politica nuova non è fatta di comparsate allo Stadio (meglio un sindaco in tribuna o in biblioteca, al palazzo o alla mostra? e si possono fare tutte due le cose? non esistono gerarchie? quante domande senza risposta si possono fare…). E’ costruita sulla capacità di gestire lo sport, di dettare per quanto possibile le sue regole in città. Di capire di cosa si sta parlando.
Per i politici il tifo deve essere buona amministrazione, dello sport e non solo: così tutti stanno meglio, allo stadio e non solo. Il resto è demagogia. Andare allo Stadio, è questo. Così ha un senso sbracciarsi, dar di matto senza vergogna. Si può farlo se si lavora, non gratis. Per immagine.
5. Questo potrebbe avere peso anche nella costruzione (senza illusioni) di una coscienza civica sia verso chi va allo Stadio sia verso chi non ci va. Di dividere Bologna fra sportivi (o tifosi, fan, fedeli, ultrà) e indifferenti, contrari, laici, atei.
Si può provare a non far sentire lo sport alienazione, separazione, gioco consegnato agli altri (siano i professionisti o i tifosi). Si può provare a non pretendere da loro (i professionisti, i tifosi) risultati non umani, ma lavorare insieme per tramutare tutto in un operazione cittadina. Pretendendo poi gli stessi risultati, ma più come città e meno come ultrà isolati. Tutti ultrà, uguali pochi fanatici. In questo caso si può identificare una squadra con una città. Questo significa sport come politica, buona politica.
Senza le ipocrisie di sport poveri contro sport ricchi, sport di massa e di elite. Costruiamo lo sport di Bologna, la cultura sportiva di Bologna. Fatta di mattoni e di partecipazione.
Un ruolo importante potrebbe avere una presenza costante di sportivi e non sportivi nelle scuole: non a far lezioni, sermoni, ma a raccontare, a farsi vedere. A tramutare lo star system in un meccanismo di famiglia, più ricco, identico nella struttura, molto più forte nei risultati esterni e collettivi. Si fa più fatica insultare uno che poi ti ritrovi in cattedra, sul banco, al circolo, al bar.
Lo sport a Bologna è ancora abbastanza umile – anche nel senso negativo del termine – da poter capire che ha bisogno di questi bagni di popolo e umità.
6. Costruire e ristrutturare, curare l’esistente significa anche far sentire lo sport più vicino, quotidiano. La domenica è il GRANDE EVENTO, ma che per tutta la settimana ti permette di giocare decentemente le tue gare in ambienti decenti. L’amore, la partecipazione, il divertimento, l’attaccamento, l’appartenenza sono tutti doppi. Settimana da giocatore (in prima persona, per figli, nipoti ecc.), domenica da spettatore.
Per il piccolo evento della vita di tutti, per il grande evento a cui assistere
7. Così lo sport è davvero di massa anche quello di elite (dove sono ormai gli sport di elite? il polo, la formula uno, la vela….)
8. Il tifo. Periodicamente si parla di accorpare in un’unica squadra le due società di basket, in altre città lo si fa per il calcio.
Sbagliato, impossibile, a mio parere. Gli sportivi hanno diritto ad avere le proprie bandiere, le città hanno diritto ad avere le squadre che credono (e non solo le città più potenti). Giusto, utile è però trovare luoghi ed occasioni in cui le diverse squadre, ma anche di diversi sport si trovino impegnati nello stessa attività.
IN CUI CONVERGANO ANZICCHE’ AL SOLITO DIVERGERE. Mantenere e curare gli impianti esistenti, mandare atleti a parlare con i ragazzi è un momento di unione. Gli affari, le ambizioni dentro e fuori il campo dividono e divideranno? Ma intanto cominciano a costruire delle camere di compensazione cittadine dove tutti quelli che lavorano, sperano, vivono, pensano nello stesso settore possano ragionare su azioni comuni.
ma dà un’idea precisa quando si parla di amministrazione e della necessità di collegare le diversità, mantendole e insieme coinvolgendole in un programma unico. La Rete dello Sport può essere una grande opportunità per Bologna. Come realtà amministrativa ed esempio nazionale.
SITUAZIONE ATTUALE
1. Tutti gli operatori sportivi con ambizioni nazionali chiedono di costruire nuovi impianti nel territorio dove operano le loro squadre.
2. Questa richiesta è sempre collegata a grandi progetti di urbanistica residenziale.
3. Nei progetti, la valorizzazione di un territorio è complessiva: strutture, più edilizia privata e commerciale, più servizi, più infrastrutture, più trasporti, più traffico, più commerci eccetera. Ma riguarda solo una parte della città. Almeno direttamente: poi si può parlare di ricadute più generali, di immagine di Bologna e via di seguito. Ma è tutto indiretto e per certi versi ipotetico. Comunque tutto viene dopo l’opera principale. Non l’accompagna.
4. Questo meccanismo è destinato a creare disequilibri nel territorio cittadino, malumori, sentimenti di ingiustizia negli esclusi, polemiche, tiramolla a non finire, contrattazioni, rischi.
5. Non c’è nessun vero coinvolgimento della città nel suo complesso, nei suoi cittadini. Si guarda ai tifosi e alle strutture che di loro vivono. Ma la città nella sua totalità?
6. Non esiste nessun collegamento fra il nuovo che si crea e i tanti impianti vecchi spesso lasciati a loro stessi, ristrutturati a forza di buona volontà individuale o al massimo per qualche accordo individuale.
LA MIA PROPOSTA
VINCOLARE LA COSTRUZIONE DI QUALSIASI IMPIANTO SPORTIVO (e di ogni progetto ad esso annesso) all’impegno legale da parte degli operatori di procedere ALLA MANUTENZIONE DI UNA SERIE DI STRUTTURE SPORTIVE ESISTENTI. Vincolo con numero fissato di anni, da ridiscutere alla scadenza.
Parlo di centri civici, campi da calcio e basket, di sport vari, piscine, palestre. Strutture comunali, ma anche altre strutture pubbliche o private che abbiano la destinazione per uso pubblico. Nel caso delle strutture sportive scolastiche non comunali è necessario un accordo con il Provveditorato agli Studi. In caso di strutture scolastiche private si analizzerà caso per caso attraverso una Commissione mista (pubblica e privata, con tutti gli interessati) e si studieranno accordi e possibilità.
Lo stesso meccanismo deve riguardare qualsiasi ristrutturazione o amplimento o modifica delle strutture per gli sport di massa attualmente funzionanti: Stadio di calcio, palazzi per la pallacanestro, eccetera.
Ovviamente a fatturati e guadagni diversi corrisponderanno impegni economici diversi.
Indispensabile il COINVOLGIMENTO DEI COMUNI NELLA ZONA METROPOLITANA di Bologna.
Sono contrarissimo a qualsiasi ipotesi del tipo prima si fanno gli impianti importanti, poi si discute su tutto quello che gira attorno e sulle altre strutture bisognose di recupero e manutenzione
Non esiste la strategia dei due tempi: si costruisce e si procede con manutenzione-restauro contemporaneamente.
Persino in termini di budget, finanziamenti, programmazione.
Anche perché i nuovi impianti non sono un obbligo né una necessità, ma UNA OPPORTUNITÀ. E devono esserlo PER TUTTA BOLOGNA. Per chi si interessa degli sport coinvolti e per chi no. Per chi abita nelle zone coinvolte e per chi sta lontano.
OBIETTIVI
Non costruire se non si recupera l’esistente. E’ una vera strategia politica, economica, culturale, di educazione civica ed azione programmatica.
1. Costringe a monitorare lo stato delle strutture sportive esistenti e a decidere cosa fare, fra degrado, restauro, abbattimento, nuova destinazione. E’ il punto più terra terra, ma costringe una città abbastanza immobile a vedere cosa ha, decidere in fretta cosa fare.
2. Porta allo scoperto una storia di Bologna, fatta di muri e di nomi, con la possibilità di fare una vera storia dello sport, dei suoi campi e dei campioni: chi ricorda Cavicchi o Canè? Cosa hanno significato per la Bologna del boom o degli anni della paciosità finita tragicamente?
3. Si dovrebbe creare un rapporto pubblico-privato non su UN AFFARE ma SULLA GESTIONE DELLA CITTÀ, almeno di uno dei settori più importanti. Brutalmente, diventano anche PIÙ DIFFICILI GLI ACCORDI SOTTO BANCO, il do ut des fra singoli.
Il privato diventa davvero IL SIGNORE DEL CALCIO, DEL BASKET,ecc... ma non per la squadra (non solo per lei) ma per quello che fa per la città. Ci si occupa di uno sport, non di una squadra.
Tutta la città è coinvolta nel progetto, dove si costruisce e dove si restaura, si mantiene, ci guadagnano da una parte ma anche dall’altra i ragazzi che usano i campi, i genitori, le scuole, i quartieri
4. Una politica nuova non è fatta di comparsate allo Stadio (meglio un sindaco in tribuna o in biblioteca, al palazzo o alla mostra? e si possono fare tutte due le cose? non esistono gerarchie? quante domande senza risposta si possono fare…). E’ costruita sulla capacità di gestire lo sport, di dettare per quanto possibile le sue regole in città. Di capire di cosa si sta parlando.
Per i politici il tifo deve essere buona amministrazione, dello sport e non solo: così tutti stanno meglio, allo stadio e non solo. Il resto è demagogia. Andare allo Stadio, è questo. Così ha un senso sbracciarsi, dar di matto senza vergogna. Si può farlo se si lavora, non gratis. Per immagine.
5. Questo potrebbe avere peso anche nella costruzione (senza illusioni) di una coscienza civica sia verso chi va allo Stadio sia verso chi non ci va. Di dividere Bologna fra sportivi (o tifosi, fan, fedeli, ultrà) e indifferenti, contrari, laici, atei.
Si può provare a non far sentire lo sport alienazione, separazione, gioco consegnato agli altri (siano i professionisti o i tifosi). Si può provare a non pretendere da loro (i professionisti, i tifosi) risultati non umani, ma lavorare insieme per tramutare tutto in un operazione cittadina. Pretendendo poi gli stessi risultati, ma più come città e meno come ultrà isolati. Tutti ultrà, uguali pochi fanatici. In questo caso si può identificare una squadra con una città. Questo significa sport come politica, buona politica.
Senza le ipocrisie di sport poveri contro sport ricchi, sport di massa e di elite. Costruiamo lo sport di Bologna, la cultura sportiva di Bologna. Fatta di mattoni e di partecipazione.
Un ruolo importante potrebbe avere una presenza costante di sportivi e non sportivi nelle scuole: non a far lezioni, sermoni, ma a raccontare, a farsi vedere. A tramutare lo star system in un meccanismo di famiglia, più ricco, identico nella struttura, molto più forte nei risultati esterni e collettivi. Si fa più fatica insultare uno che poi ti ritrovi in cattedra, sul banco, al circolo, al bar.
Lo sport a Bologna è ancora abbastanza umile – anche nel senso negativo del termine – da poter capire che ha bisogno di questi bagni di popolo e umità.
6. Costruire e ristrutturare, curare l’esistente significa anche far sentire lo sport più vicino, quotidiano. La domenica è il GRANDE EVENTO, ma che per tutta la settimana ti permette di giocare decentemente le tue gare in ambienti decenti. L’amore, la partecipazione, il divertimento, l’attaccamento, l’appartenenza sono tutti doppi. Settimana da giocatore (in prima persona, per figli, nipoti ecc.), domenica da spettatore.
Per il piccolo evento della vita di tutti, per il grande evento a cui assistere
7. Così lo sport è davvero di massa anche quello di elite (dove sono ormai gli sport di elite? il polo, la formula uno, la vela….)
8. Il tifo. Periodicamente si parla di accorpare in un’unica squadra le due società di basket, in altre città lo si fa per il calcio.
Sbagliato, impossibile, a mio parere. Gli sportivi hanno diritto ad avere le proprie bandiere, le città hanno diritto ad avere le squadre che credono (e non solo le città più potenti). Giusto, utile è però trovare luoghi ed occasioni in cui le diverse squadre, ma anche di diversi sport si trovino impegnati nello stessa attività.
IN CUI CONVERGANO ANZICCHE’ AL SOLITO DIVERGERE. Mantenere e curare gli impianti esistenti, mandare atleti a parlare con i ragazzi è un momento di unione. Gli affari, le ambizioni dentro e fuori il campo dividono e divideranno? Ma intanto cominciano a costruire delle camere di compensazione cittadine dove tutti quelli che lavorano, sperano, vivono, pensano nello stesso settore possano ragionare su azioni comuni.
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