Costruire qualcosa, per costruire qualcosa, per costruire qualcosa… Fare cultura è una lunga strada senza fine. E’ la politica. Bisogna averlo ben presente in una città che ha il proprio futuro nella capacità di distinguersi da un appiattimento generale e nel saper gestire l’unione fra una nobile tradizione e un avvenire spinoso da rendere intrigante.
LA CULTURA DEI CENTO FIORI
LA CULTURA DEI CENTO FIORI
Cultura sono tanti piccoli fiori. Pirro Cuniberti ha dipinto un bellissimo quadro per la strage della stazione: 85 fiori che si staccano da terra verso il cielo. Sono le vittime della strage, 85 esistenze. Bene, noi i fiori dobbiamo richiamarli verso la terra. Far discendere la poesia. Fare arte dell’esistenza dei bolognesi. L’esistenza come arte. Dobbiamo far bella la quotidianità, oltre che mettere in piedi eventi e cartelloni di manifestazioni.
Questo è il futuro vero di Bologna. Poesia senza fare tanta poesia, concreti. E bisogna trovare come riempire questo proposito con fatti reali.
Per far funzionare la cultura di questi tempi bisogna farla tutti i giorni. Con i cittadini e con gli esperti. Senza la presunzione di nessuno.
La sconfitta se andiamo avanti così è solo rimandata, mentre un certo modo di vivere a Bologna e di vivere Bologna si frantuma sempre più. Il rischio è di ritrovarsi ad inseguire la destra su terreni dove lei è più esperta, dove gioca in casa. Dai divertimenti ai comportamenti ai modi di stare insieme.
Non è vero che la sicurezza non sia né di destra né di sinistra, come non è vero che la cultura non sia né di destra né di sinistra. Però in una città la cultura non è figlia (solo figlia) dei Grandi Eventi che è in grado di mettere in piedi (importanti, attenti, ma non isolabili da un contesto: se no tutto è senza colori, non hanno il segno di chi lo fa: guardate Roma). E’ frutto dei comportamenti, scelte, creazioni, rifiuti che si riescono a costruire e far costruire in mezzo alla gente comune. La cultura è più che scegliere Mussolini o Gramsci. E’ un atteggiamento collettivo (e i referenti diversi si sentono).
Su questo dobbiamo lavorare, per costruire un. Si chiama antropologia culturale, noi diciamo modo di vivere la città e i rapporti.
FRA DEGRADO E RIVOLUZIONE
Il degrado nasce dal distacco fra una città e i suoi abitanti. Quelli nati qui, quelli che vi arrivano per studiare e lavorare o solo per sfangare la vita. Gli immigrati necessari, cercati, temuti, non sopportati, utili, pericolosi, integrati, orgogliosi, dannosi. Folla composita. E da analizzare anche lei nella sua composizione, non come un tutto unico: razziale, razzista.
Quindi d’accordo gli eventi, I Grandi Eventi, i cartelloni, le estati e le inverni, le stagioni e le mezze stagioni. Ma soprattutto serve il giorno per giorno.
Esempi, buttati lì
VITA IN PERIFERIA
Avete presente la gentilezza, la disponibilità, l’arguzia che si porta dietro un sacco di gente che vive nei quartieri tradizionali di Bologna? I pensionati, certo, i mitici anziani di Bologna che parlano in dialetto e ragionano alla grande. Ma anche gli sforzi di tanti immigrati di mostrarsi conoscitori della loro nuova città.
Tutto questo è cultura. E allora perchè fermare l’attività di tanta gente ai controlli davanti alle scuole? Perché non fare funzionare quei cervelli? Sapendo che sono diversi dai nostri.
Si possono creare (autocreare, promuovere, proporre…) squadre di persone che uno volta alla settimana, al mese, quando credono passano in rassegna il quartiere, segnano tutto quello che secondo loro non va: bidoni della spazzatura, scritte, sporcizia e via di seguito. E segnano anche cosa si può fare. Far funzionare il cervello oltre che le gambe. Bar disposti ad organizzare tornei, mini feste di strada, parrocchie da collegare, negozi da salvare, tanto si può escogitare, fare. Far funzionare la fantasia. Per obbligo, in partenza. Poi si spera per piacere.
Questa è appartenenza, spirito civico, anima di Bologna messa in movimento dai bolognesi doc e da quelli futuri.
Una volta al mese o con altra periodicità riunirsi per decidere il da fare. Al Comune può costare qualche barattolo di vernice, qualche bidone, qualche poster. Il lavoro dovrà essere ripetuto, ma in questa ripetitività, voglia di miglioramento sta la chiave dei rapporti di unità, condivisione, affetto.
VIGILANZA NON VIGILANTES
Questa attività un tempo si chiamava vigilanza democratica, poi si è parlato di vigilantes. Noi diciamo che è partecipazione alla vita del quartiere.
C’è già, ma deve essere pensata come se si fosse in un paese, poco demandata, Se non nelle decisioni finali, che chiamano in gioco la struttura istituzionale. Il rapporto con i vicini va aiutato in base ai progetti comuni, ma anche in un rapporto concorrenziale.
La ronde (francese voluto, significa amore non poliziotti) nel quartiere deve essere un gioco. Non è controllo, è cultura del vedere e del pensare.
In un meccanismo collettivo. Nonni con i nipoti. Fidanzati, amici, clan, gruppi
Servono tutti quelli che devono e hanno voglia di leggere la città.
L’attività, proprio perchè, deve essere non stancante, non opprimente, ritmo lento. I risultati sono anche nella mescolanza di età, visioni, approcci, letture, soluzioni
I risultati almeno all’inizio sono quasi solo di coinvolgimento
Un quartiere si arricchisce così.
Scusate ma è il vecchio meccanismo delle Feste dell’Unità: partecipazione, politica, divertimento, mugugni che diventano decisioni
FINE DELLO SVILUPPO OLTRE GLI ATTUALI SPAZI?
La densità degli insediamenti è la chiave di volta per la realizzazione di nuovi equilibri abitativi dentro i contesti metropolitani. Differenti modelli tipologici si offrono, da quelli che vogliono uno sviluppo verticale a quelli che indicano morfologie orizzontali. Ma in entrambi i casi per Mario Botta sembra ormai consolidata l’indicazione che le città non dovrebbero espandersi oltre gli attuali limiti urbanizzati. Lo sviluppo all’interno di aree divenute obsolete (ex-industriali, ex-militari, ecc.) è un altro gran tema, come quello dei possibili vantaggi derivanti dalle infrastrutture e dai servizi già esistenti ed il conseguente contenimento dei costi sociali.
La città mi pare destinata, anche nelle sue nuove dimensioni, a crescere su se stessa, a consolidare il processo di continua stratificazione storica che è stato una sua costante peculiarità.
Per questo la periferia va considerata come una città nella città con i suoi valori e il legame che lo lega al resto.
Ormai non è più serie B, ammesso lo sia mai stato.
E’ CITTA’ a tutti gli effetti
E come tale va trattata dalla CULTURA Organizzata e dalla Cultura pensata
Se fosse possibile andrebbero aiutati salotti radical-chic in periferia e feste popolari in centro.
CENTRO CITTADINO
La zona universitaria e il centro in genere sono un disastro, ora. Se repressione ci deve essere, sia affidata al controllo notturno di pattuglie di vigili urbani che controllino devastazioni, scritte, porcherie varie. Non fernandosi al centro ma estendendosi a tutta Bologna. In contatto con Ps e Cc.
Non ci saremo abituati, fa molto inglese, ma il poliziotto di quartiere è uno dei meccanismi più forti per far sentire le persone parte di una città, per coinvolgerle anche nel pensarla quella città senza affidarsi alle gonne dei politici o dei poliziotti.
Per cambiare la situazione si può procedere con squadre di negozianti, ma è rischioso. Molto rischioso. Per i negozianti e i rapporti in città.
Bisogna coinvolgere i giovani, gli studenti. Per segnalare, non reprimere, per pensare, proporre. Magari partendo dalla voglia di scarabocchiare un muro. Cercare di portare i writer, i graffitari, gli stessi vandali con la bomboletta a ragionare su cosa farebbero se potessero pensare un pezzo di strada, Cosa programmerebbero, invece di rubare una scritta, di scappare dopo il bel gesto. Tramutare i nuovi barbari in nuovi cittadini di Roma. Senza rinnegare la loro cultura. Mica va seguito il loro consiglio (ammesso che non spacchino tutto), ma almeno va tenuto da conto, mediato, discusso.
Già si fa qualcosa (ad esempio, l’attività della Fondazione Don Paolo Serra Zanetti)
Bisogna allargare la rete. Trovare ragazzi, cercarli, coinvolgerli. Già la ricerca è azione. Si cerca ciò che si desidera trovare. Non criminalizzare, almeno all’inizio.
Il termine Pianificazione a proposito dell’intervento risparmiamocelo.
L’azione poi spetta a chi di dovere, sia pubblico che privato.
Chiarissime alcune cose:
- Bologna non può andare avanti tutta scarabocchiata
- lo scarabocchio può essere un fatto particolare, in nessuna altra città ce ne è tanto
- cow boy e indiani devono trovare non un accordo, ma confini e pascoli
- la bellezza non va però tutelata a senso unico. Bologna città bottegaia fattasi boutiquiera (economista Carlo Dadda) non può permettersi le vetrine brutte che segnano il suo centro: alluminio, brutte insegne, brutti banconi, negozi storici massacrati
- Il problema è della Sovrintendenza, ma le associazioni dei commercianti non possono non vedere, ragionare sul, sul rapporto fra negozi, mercanzia, serrande, insegne per fare di Bologna una città con un richiamo ad hoc.
IL CENTRO STORICO E’ SENSO DI PIETRE ED UMANI
Questo è il futuro vero di Bologna. Poesia senza fare tanta poesia, concreti. E bisogna trovare come riempire questo proposito con fatti reali.
Per far funzionare la cultura di questi tempi bisogna farla tutti i giorni. Con i cittadini e con gli esperti. Senza la presunzione di nessuno.
La sconfitta se andiamo avanti così è solo rimandata, mentre un certo modo di vivere a Bologna e di vivere Bologna si frantuma sempre più. Il rischio è di ritrovarsi ad inseguire la destra su terreni dove lei è più esperta, dove gioca in casa. Dai divertimenti ai comportamenti ai modi di stare insieme.
Non è vero che la sicurezza non sia né di destra né di sinistra, come non è vero che la cultura non sia né di destra né di sinistra. Però in una città la cultura non è figlia (solo figlia) dei Grandi Eventi che è in grado di mettere in piedi (importanti, attenti, ma non isolabili da un contesto: se no tutto è senza colori, non hanno il segno di chi lo fa: guardate Roma). E’ frutto dei comportamenti, scelte, creazioni, rifiuti che si riescono a costruire e far costruire in mezzo alla gente comune. La cultura è più che scegliere Mussolini o Gramsci. E’ un atteggiamento collettivo (e i referenti diversi si sentono).
Su questo dobbiamo lavorare, per costruire un
FRA DEGRADO E RIVOLUZIONE
Il degrado nasce dal distacco fra una città e i suoi abitanti. Quelli nati qui, quelli che vi arrivano per studiare e lavorare o solo per sfangare la vita. Gli immigrati necessari, cercati, temuti, non sopportati, utili, pericolosi, integrati, orgogliosi, dannosi. Folla composita. E da analizzare anche lei nella sua composizione, non come un tutto unico: razziale, razzista.
Quindi d’accordo gli eventi, I Grandi Eventi, i cartelloni, le estati e le inverni, le stagioni e le mezze stagioni. Ma soprattutto serve il giorno per giorno.
Esempi, buttati lì
VITA IN PERIFERIA
Avete presente la gentilezza, la disponibilità, l’arguzia che si porta dietro un sacco di gente che vive nei quartieri tradizionali di Bologna? I pensionati, certo, i mitici anziani di Bologna che parlano in dialetto e ragionano alla grande. Ma anche gli sforzi di tanti immigrati di mostrarsi conoscitori della loro nuova città.
Tutto questo è cultura. E allora perchè fermare l’attività di tanta gente ai controlli davanti alle scuole? Perché non fare funzionare quei cervelli? Sapendo che sono diversi dai nostri.
Si possono creare (autocreare, promuovere, proporre…) squadre di persone che uno volta alla settimana, al mese, quando credono passano in rassegna il quartiere, segnano tutto quello che secondo loro non va: bidoni della spazzatura, scritte, sporcizia e via di seguito. E segnano anche cosa si può fare. Far funzionare il cervello oltre che le gambe. Bar disposti ad organizzare tornei, mini feste di strada, parrocchie da collegare, negozi da salvare, tanto si può escogitare, fare. Far funzionare la fantasia. Per obbligo, in partenza. Poi si spera per piacere.
Questa è appartenenza, spirito civico, anima di Bologna messa in movimento dai bolognesi doc e da quelli futuri.
Una volta al mese o con altra periodicità riunirsi per decidere il da fare. Al Comune può costare qualche barattolo di vernice, qualche bidone, qualche poster. Il lavoro dovrà essere ripetuto, ma in questa ripetitività, voglia di miglioramento sta la chiave dei rapporti di unità, condivisione, affetto.
VIGILANZA NON VIGILANTES
Questa attività un tempo si chiamava vigilanza democratica, poi si è parlato di vigilantes. Noi diciamo che è partecipazione alla vita del quartiere.
C’è già, ma deve essere pensata come se si fosse in un paese, poco demandata, Se non nelle decisioni finali, che chiamano in gioco la struttura istituzionale. Il rapporto con i vicini va aiutato in base ai progetti comuni, ma anche in un rapporto concorrenziale.
La ronde (francese voluto, significa amore non poliziotti) nel quartiere deve essere un gioco. Non è controllo, è cultura del vedere e del pensare.
In un meccanismo collettivo. Nonni con i nipoti. Fidanzati, amici, clan, gruppi
Servono tutti quelli che devono e hanno voglia di leggere la città.
L’attività, proprio perchè
I risultati almeno all’inizio sono quasi solo di coinvolgimento
Un quartiere si arricchisce così.
Scusate ma è il vecchio meccanismo delle Feste dell’Unità: partecipazione, politica, divertimento, mugugni che diventano decisioni
FINE DELLO SVILUPPO OLTRE GLI ATTUALI SPAZI?
La densità degli insediamenti è la chiave di volta per la realizzazione di nuovi equilibri abitativi dentro i contesti metropolitani. Differenti modelli tipologici si offrono, da quelli che vogliono uno sviluppo verticale a quelli che indicano morfologie orizzontali. Ma in entrambi i casi per Mario Botta sembra ormai consolidata l’indicazione che le città non dovrebbero espandersi oltre gli attuali limiti urbanizzati. Lo sviluppo all’interno di aree divenute obsolete (ex-industriali, ex-militari, ecc.) è un altro gran tema, come quello dei possibili vantaggi derivanti dalle infrastrutture e dai servizi già esistenti ed il conseguente contenimento dei costi sociali.
La città mi pare destinata, anche nelle sue nuove dimensioni, a crescere su se stessa, a consolidare il processo di continua stratificazione storica che è stato una sua costante peculiarità.
Per questo la periferia va considerata come una città nella città con i suoi valori e il legame che lo lega al resto.
Ormai non è più serie B, ammesso lo sia mai stato.
E’ CITTA’ a tutti gli effetti
E come tale va trattata dalla CULTURA Organizzata e dalla Cultura pensata
Se fosse possibile andrebbero aiutati salotti radical-chic in periferia e feste popolari in centro.
CENTRO CITTADINO
La zona universitaria e il centro in genere sono un disastro, ora. Se repressione ci deve essere, sia affidata al controllo notturno di pattuglie di vigili urbani che controllino devastazioni, scritte, porcherie varie. Non fernandosi al centro ma estendendosi a tutta Bologna. In contatto con Ps e Cc.
Non ci saremo abituati, fa molto inglese, ma il poliziotto di quartiere è uno dei meccanismi più forti per far sentire le persone parte di una città, per coinvolgerle anche nel pensarla quella città senza affidarsi alle gonne dei politici o dei poliziotti.
Per cambiare la situazione si può procedere con squadre di negozianti, ma è rischioso. Molto rischioso. Per i negozianti e i rapporti in città.
Bisogna coinvolgere i giovani, gli studenti. Per segnalare, non reprimere, per pensare, proporre. Magari partendo dalla voglia di scarabocchiare un muro. Cercare di portare i writer, i graffitari, gli stessi vandali con la bomboletta a ragionare su cosa farebbero se potessero pensare un pezzo di strada, Cosa programmerebbero, invece di rubare una scritta, di scappare dopo il bel gesto. Tramutare i nuovi barbari in nuovi cittadini di Roma. Senza rinnegare la loro cultura. Mica va seguito il loro consiglio (ammesso che non spacchino tutto), ma almeno va tenuto da conto, mediato, discusso.
Già si fa qualcosa (ad esempio, l’attività della Fondazione Don Paolo Serra Zanetti)
Bisogna allargare la rete. Trovare ragazzi, cercarli, coinvolgerli. Già la ricerca è azione. Si cerca ciò che si desidera trovare. Non criminalizzare, almeno all’inizio.
Il termine Pianificazione a proposito dell’intervento risparmiamocelo.
L’azione poi spetta a chi di dovere, sia pubblico che privato.
Chiarissime alcune cose:
- Bologna non può andare avanti tutta scarabocchiata
- lo scarabocchio può essere un fatto particolare, in nessuna altra città ce ne è tanto
- cow boy e indiani devono trovare non un accordo, ma confini e pascoli
- la bellezza non va però tutelata a senso unico. Bologna città bottegaia fattasi boutiquiera (economista Carlo Dadda) non può permettersi le vetrine brutte che segnano il suo centro: alluminio, brutte insegne, brutti banconi, negozi storici massacrati
- Il problema è della Sovrintendenza, ma le associazioni dei commercianti non possono non vedere, ragionare sul
IL CENTRO STORICO E’ SENSO DI PIETRE ED UMANI
Nella città storica, pur nata per far fronte ad esigenze lontane dalla nostra sensibilità, l’impianto urbano con la sua rete distributiva e funzionale risponde concretamente ai bisogni ATTUALI spesso attraverso una qualità di spazi che i cittadini sentono superiore rispetto a quella offerta dai nuovi insediamenti (Mario Botta).
Il tessuto urbano invecchiando migliora. Non sono gli aspetti tecnicofunzionali - lo ammettono architetti ed urbanisti - ad offrire una migliore qualità della vita, ma la ricchezza della stratificazione. In definitiva le memorie che riaffiorano dal tracciato della città.
I centri storici, disegnati e consolidati attraverso il lavoro continuo delle generazioni estinte, sono valori, qualità, non solo storia.
La città offre l’insegnamento semplice e disarmante che non è possibile vivere senza passato. Il territorio della memoria rappresenta una condizione altrettanto indispensabile della misura del vivere presente. Pur all'interno di dure contraddizioni - inquinamento, traffico, approvvigionamento energetico, aree pregiate consegnate ai commerci con la conseguente espulsione di interi settori abitativi - il contesto urbano offre valori che appagano per mezzo di realizzazioni di uomini scomparsi, frutto di fatiche di comunità disperse, lontane nel tempo dalle ansie e dalle preoccupazioni del nostro vivere.
Riemerge forte allora il bisogno di storia dato dal contesto costruito, continuamente modificato e ridisegnato. La città storica come richiamo per il vivere collettivo.
Città viva e non di pietre morte.
LINGUAGGI
Il tessuto urbano invecchiando migliora. Non sono gli aspetti tecnicofunzionali - lo ammettono architetti ed urbanisti - ad offrire una migliore qualità della vita, ma la ricchezza della stratificazione. In definitiva le memorie che riaffiorano dal tracciato della città.
I centri storici, disegnati e consolidati attraverso il lavoro continuo delle generazioni estinte, sono valori, qualità, non solo storia.
La città offre l’insegnamento semplice e disarmante che non è possibile vivere senza passato. Il territorio della memoria rappresenta una condizione altrettanto indispensabile della misura del vivere presente. Pur all'interno di dure contraddizioni - inquinamento, traffico, approvvigionamento energetico, aree pregiate consegnate ai commerci con la conseguente espulsione di interi settori abitativi - il contesto urbano offre valori che appagano per mezzo di realizzazioni di uomini scomparsi, frutto di fatiche di comunità disperse, lontane nel tempo dalle ansie e dalle preoccupazioni del nostro vivere.
Riemerge forte allora il bisogno di storia dato dal contesto costruito, continuamente modificato e ridisegnato. La città storica come richiamo per il vivere collettivo.
Città viva e non di pietre morte.
LINGUAGGI
Il linguaggio non deve essere quello dell’ente pubblico. Nemmeno quello della politica. Deve essere quello delle tribù che operano sui vari territori. Cultura è la visione che raccontano, come le soluzioni che propongono.
Sarebbe bello organizzare eventi in cui culture diversissime raccontano
come vedono Bologna. Umberto Eco lo fece venti anni fa portando un bardo etiope che raccontò Bologna come la vedeva lui, in una straordinaria narrazione orale
Modo per avvicinare le genti
OCCHI CHE SI INCONTRANO, VISIONI CHE SI AFFASCINANO
Le mostre, gli eventi, le grandi manifestazioni possono nascere anche dalla capacità del Comune (o chi per lui) di tramutare in arte quel che bolle nella sua pancia, nel suo cervello, nel suo cuore.
Certo, anche nella sua storia.
Ma cultura non è fatta solo di artisti.
E’ espressività da scoprire, musica da inventare
Difficile, ma cosa è facile per mantenere e innovare Bologna?
In questa ottica i giovani, gli studenti, i guastatori possibili vanno coinvolti prima. Non invitati dopo. COINVOLTI NELLA ORGANIZZAZIONE. Sono un terzo dei bolognesi, il clima reciproco al di là delle chiacchiere non è amichevole.
Bisogna trovare il modo di coinvolgerli nell’amministrare, sapendo che vengono e vanno.
La cultura è un buon veicolo, il tram chiamato desiderio.
Per ora il tram è solo imbrattato, vediamo se (John Cage docet) riusciamo a farci costruire qualcosa sopra.
E la creatività non deve essere solo finalizzata al rapporto con il sistema produttivo ne ai concertini doc, alla poesia, a piazza S. Stefano.
Pensare in grande: la zona universitaria, interi quartieri sono imbrattati. Perchè non fare una grande rassegna di murales? Sugli stessi muri. Poi vedere se tenerli o cancellarli.
Il discorso vale per tutta la città, per bolognesi e forestieri, ricchi e poveri.
AGIRE SU UNA CITTA’ E’ AGIRE SUI SUOI CITTADINI
C’è un senso civico (altrocchè l’appartenenza) che va inventato, non ricostruito. Inventato ex novo. Ogni occasione deve essere pensata in questa ottica.
Le strade sono questo.
I portici sono questo: il restauro non riguarda il pezzetto privato, ma deve coinvolgere tutto il percorso.
La concorrenza qui è particolare. Bologna non ha davvero grandi opere da esporre, ma un tessuto urbano. Questo è il vero monumento di Bologna, su questo bisogna agire.
COMPLESSIVAMENTE
L’immagine della città è il riferimento essenziale (e naturale) per la ricerca di una possibile identità. Identità non solo collettiva, anche individuale. Tanto più in un contesto caratterizzato dal rapido espandersi della globalizzazione. L'identità passa attraverso il senso di appartenenza ad un territorio.
La città ritorna come nel grande passato ad essere baluardo verso il quale i cittadini si rivolgono naturalmente ogniqualvolta avvertono la necessità di recuperare risorse per resistere all’appiattimento ed alla banalizzazione. Per ancorarsi ad una realtà territoriale sentita come amica.
Per questo alla cultura urbana viene riconosciuta una forza espressiva forte, autentica e significativa della storia umana, con una pluralità di testimonianze aperte a molteplici letture.
Nella maggior parte dei contesti urbani sono presenti e percepibili:
- il concetto di CENTRO che raccoglie storia e memoria, dove le stratificazioni urbane si sono accumulate e densificate;
- la condizione altrettanto precisa di LIMITE, di territorio che è altro rispetto alla polis.
Il fascino è dato dalla sensazione che dentro la complessità della trama urbana e della sua stratificazione edilizia è possibile leggere come in uno specchio dilatato la condizione stessa della vita. Con speranze e contraddizioni che si trasformano in immagini e figure reali.
La nostra stessa personalità si arricchisce attraverso le testimonianze e le esperienze di altri uomini. Nel contesto COSTRUITO (differenza con la campagna) non siamo mai abbandonati, non siamo soli, lo spazio che ci circonda è un territorio di memoria con una sua storia che ci appartiene.
Attraverso il territorio fisico interpretiamo un tessuto mentale capace di filtrare i dubbi e le speranze del nostro operare.
Sarebbe bello organizzare eventi in cui culture diversissime raccontano
come vedono Bologna. Umberto Eco lo fece venti anni fa portando un bardo etiope che raccontò Bologna come la vedeva lui, in una straordinaria narrazione orale
Modo per avvicinare le genti
OCCHI CHE SI INCONTRANO, VISIONI CHE SI AFFASCINANO
Le mostre, gli eventi, le grandi manifestazioni possono nascere anche dalla capacità del Comune (o chi per lui) di tramutare in arte quel che bolle nella sua pancia, nel suo cervello, nel suo cuore.
Certo, anche nella sua storia.
Ma cultura non è fatta solo di artisti.
E’ espressività da scoprire, musica da inventare
Difficile, ma cosa è facile per mantenere e innovare Bologna?
In questa ottica i giovani, gli studenti, i guastatori possibili vanno coinvolti prima. Non invitati dopo. COINVOLTI NELLA ORGANIZZAZIONE. Sono un terzo dei bolognesi, il clima reciproco al di là delle chiacchiere non è amichevole.
Bisogna trovare il modo di coinvolgerli nell’amministrare, sapendo che vengono e vanno.
La cultura è un buon veicolo, il tram chiamato desiderio.
Per ora il tram è solo imbrattato, vediamo se (John Cage docet) riusciamo a farci costruire qualcosa sopra.
E la creatività non deve essere solo finalizzata al rapporto con il sistema produttivo ne ai concertini doc, alla poesia, a piazza S. Stefano.
Pensare in grande: la zona universitaria, interi quartieri sono imbrattati. Perchè non fare una grande rassegna di murales? Sugli stessi muri. Poi vedere se tenerli o cancellarli.
Il discorso vale per tutta la città, per bolognesi e forestieri, ricchi e poveri.
AGIRE SU UNA CITTA’ E’ AGIRE SUI SUOI CITTADINI
C’è un senso civico (altrocchè l’appartenenza) che va inventato, non ricostruito. Inventato ex novo. Ogni occasione deve essere pensata in questa ottica.
Le strade sono questo.
I portici sono questo: il restauro non riguarda il pezzetto privato, ma deve coinvolgere tutto il percorso.
La concorrenza qui è particolare. Bologna non ha davvero grandi opere da esporre, ma un tessuto urbano. Questo è il vero monumento di Bologna, su questo bisogna agire.
COMPLESSIVAMENTE
L’immagine della città è il riferimento essenziale (e naturale) per la ricerca di una possibile identità. Identità non solo collettiva, anche individuale. Tanto più in un contesto caratterizzato dal rapido espandersi della globalizzazione. L'identità passa attraverso il senso di appartenenza ad un territorio.
La città ritorna come nel grande passato ad essere baluardo verso il quale i cittadini si rivolgono naturalmente ogniqualvolta avvertono la necessità di recuperare risorse per resistere all’appiattimento ed alla banalizzazione. Per ancorarsi ad una realtà territoriale sentita come amica.
Per questo alla cultura urbana viene riconosciuta una forza espressiva forte, autentica e significativa della storia umana, con una pluralità di testimonianze aperte a molteplici letture.
Nella maggior parte dei contesti urbani sono presenti e percepibili:
- il concetto di CENTRO che raccoglie storia e memoria, dove le stratificazioni urbane si sono accumulate e densificate;
- la condizione altrettanto precisa di LIMITE, di territorio che è altro rispetto alla polis.
Il fascino è dato dalla sensazione che dentro la complessità della trama urbana e della sua stratificazione edilizia è possibile leggere come in uno specchio dilatato la condizione stessa della vita. Con speranze e contraddizioni che si trasformano in immagini e figure reali.
La nostra stessa personalità si arricchisce attraverso le testimonianze e le esperienze di altri uomini. Nel contesto COSTRUITO (differenza con la campagna) non siamo mai abbandonati, non siamo soli, lo spazio che ci circonda è un territorio di memoria con una sua storia che ci appartiene.
Attraverso il territorio fisico interpretiamo un tessuto mentale capace di filtrare i dubbi e le speranze del nostro operare.
A BOLOGNA NON SI E' COSTRUITO QUASI NIENTE DI NUOVO E di BELLO. PERCHE'?
La scarsità dei fondi, la crisi anche psicologica, è una cappa oggettiva-soggettiva su pensare il nuovo. Ma anche dal punto di vista culturale, l’unica uscita è pensare al nuovo. Non regaliamo lo scettro al Berlusconi d’Abruzzo.
Si aprono prospettive di confronto fra le nuove architetture e l’intorno già consolidato dalla storia. Con un tessuto urbano forte, consapevole del proprio passato e del valore della propria immagine, anche la tipologia edilizia delle singole architetture non potrà fare altro che concorrere a rafforzare il disegno d’insieme. Passato e futuro costruiscono INSIEME
GRAN COMPITO PER AMMINISTRAZIONE CIVICA, Università, musei, Fondazioni.
La storia e le trasformazioni dei contesti urbani sono realtà VICINE. Hanno condizionato i nostri stili di vita e hanno di fatto modellato i nostri comportamenti.
STORIA E MITO
La città è storia e mito: tanto più una città come Bologna in cui le due strade si intrecciano continuamente, con una storia che se non si avvolgesse nel mito non sarebbe neppure troppo ricca rispetto ad altre (molte) città d'Italia e d'Europa.
Che cosa si è fatto per le celebrazioni - lunghissime - del Nono centenario dell'università? L'unica manifestazione mondiale che Bologna ha visto negli ultimi decenni. Impugnare la storia, valorizzarla e tramutarla in MITO. E viceversa avvolgere il mito - la più antica università. - nella storia. E' la ricchezza di Bologna. Direbbe Giovanni Tamburini, per altro uno dei pochi bolognesi finiti su Time Magazine: «E' più buona la mortadella o la crescenta?». Dentro e fuori, crudo e cotto. Pardon. Ma Levi Strauss qui è Camporesi, Rabelais è G.C. Croce. RICORDARLO.
La storia di Bologna è anche - e forse in buona parte - storia del suo mito. E di cosa si forma il mito? Parole e sensi. Simboli, fin feticci. E’ la storia di una città che non è Firenze, Roma, Venezia, nemmeno Verona o Mantova.
Bologna è non solo la propria storia, quanto soprattutto l'importanza della propria storia.
Cosa abbiamo?
- Contenitori recuperati, a cui dare un senso. Contenitori intriganti che possono dare un senso a ciò che contengono e persino a ciò che li circonda.
- La volontà di raccontare la città.
- L'ambizione di creare una struttura in progress, che non si fermi ma sia capace nel corso del tempo di mutare, di adeguarsi.
Bologna è famosa per le tre T. E' un approccio che va tenuto in considerazione. Come il cibo: la Madonna Grassa. La storia non può dimenticarlo, chi racconta una città nemmeno.
Bologna può diventare la CAPITALE SIMBOLICA di una storia cittadina che diventa storia nazionale. Percorsi fondanti.
Citiamo Les Annales? Marc Bloch & C? Bene, allora il particolare diventa generale. Siamo pieni di storici e di studiosi dei segni, della realtà e dei feticci. Da Eco ai giorni nostri, da Anceschi ai suoi allievi, dagli Arcangeli in qua, e Raimondi e Ginsburg.
Lasciamo perdere i padri, ma avranno seminato intelligenze? Usiamole
Abbiamo una straordinaria tradizione di interpreti e valorizzatori delle opere altrui. E alcuni sono diventati autori in proprio.
Coinvolgiamoli, così si sentono partecipi del progetto in una città che se non sei nel salotto crede di non esistere. In questo modo l’amministrazione comunale diverrebbe - potrebbe puntare a cercare di diventare - anche un ammortizzare culturale, sociale, politico. Che è il suo compito. Almeno come ambizione.
VIVERE IL 2.000 PER CONOSCERE IL '900
Altra via che si potrebbe tentare, non antagonista al precedente, è inquadrare i bisogni, le ambizioni, le rose e le spine di una città (e di una nazione). E da lì ricostruire i percorsi storici. Non una storia a ritroso, ma una storia sociale. Per trovare le radici, le origini, le cause. «Vivere il 2.000 per conoscere il '900». Attenti: è anche una scelta vendibile sul mercato della comunicazione, oltre che della lettura culturale. FA NOTIZIA. Quindi richiama.
I temi possono essere gli stessi già accennati. O puntare sui valori. Formazione della città, dello Stato. Commerci. Integrazione. Giovani e vecchi. Cittadinanza. Cittadini e forestieri. Ospitalità. Guerra. Pace, Fede. Epoche. Valori. E' una storia in divenire, non ancora una volta un monumento. E anche le opere con cui raccontarla possono cambiare, facendo del museo una struttura non statica, ma discussa, parlata, ragionata.
Quel che a Bologna non c'è.
Attorno a queste scelte si potrebbe creare un meccanismo vivo. Fatto banalmente di incontri, conferenze, spettacoli. Ma anche di coinvolgimenti delle realtà locali. Università in testa, ma non solo. Artisti, musicisti. Modo per istituzionalizzare la contestazione, anche lei. Per tramutarla in una riflessione collettiva.
Anche così si può tentare di recuperare, contattare i senza memoria. Parti non da una memoria che non hanno, ma da LORO. Dai loro linguaggi, bisogni, incubi ecc. E da lì, insieme a loro, ricostruisci la storia.
Idem sulla possibilità di coinvolgere, attrarre le energia attive. E i gruppi che le possiedono, le rappresentano, le gestiscono. Si possono coinvolgere le istituzioni economiche, culturali. Anche dal punto di vista, se si ritiene e si trovano le forme, finanziario.
Bologna è anche una città inventata. Da Rubbiani, nostrano Violet Le Duc, a Cervellati. Il passato che diventa presente, senza paura di contaminare ma avendo ben presente che la via da percorrere è quella dell'ANIMA DELLA CITTA'. Questi sono i fili del percorso da seguire, disseminare, costruire.
CITTA' DI LUOGHI PARLANTI
La scarsità dei fondi, la crisi anche psicologica, è una cappa oggettiva-soggettiva su pensare il nuovo. Ma anche dal punto di vista culturale, l’unica uscita è pensare al nuovo. Non regaliamo lo scettro al Berlusconi d’Abruzzo.
Si aprono prospettive di confronto fra le nuove architetture e l’intorno già consolidato dalla storia. Con un tessuto urbano forte, consapevole del proprio passato e del valore della propria immagine, anche la tipologia edilizia delle singole architetture non potrà fare altro che concorrere a rafforzare il disegno d’insieme. Passato e futuro costruiscono INSIEME
GRAN COMPITO PER AMMINISTRAZIONE CIVICA, Università, musei, Fondazioni.
La storia e le trasformazioni dei contesti urbani sono realtà VICINE. Hanno condizionato i nostri stili di vita e hanno di fatto modellato i nostri comportamenti.
STORIA E MITO
La città è storia e mito: tanto più una città come Bologna in cui le due strade si intrecciano continuamente, con una storia che se non si avvolgesse nel mito non sarebbe neppure troppo ricca rispetto ad altre (molte) città d'Italia e d'Europa.
Che cosa si è fatto per le celebrazioni - lunghissime - del Nono centenario dell'università? L'unica manifestazione mondiale che Bologna ha visto negli ultimi decenni. Impugnare la storia, valorizzarla e tramutarla in MITO. E viceversa avvolgere il mito - la più antica università. - nella storia. E' la ricchezza di Bologna. Direbbe Giovanni Tamburini, per altro uno dei pochi bolognesi finiti su Time Magazine: «E' più buona la mortadella o la crescenta?». Dentro e fuori, crudo e cotto. Pardon. Ma Levi Strauss qui è Camporesi, Rabelais è G.C. Croce. RICORDARLO.
La storia di Bologna è anche - e forse in buona parte - storia del suo mito. E di cosa si forma il mito? Parole e sensi. Simboli, fin feticci. E’ la storia di una città che non è Firenze, Roma, Venezia, nemmeno Verona o Mantova.
Bologna è non solo la propria storia, quanto soprattutto l'importanza della propria storia.
Cosa abbiamo?
- Contenitori recuperati, a cui dare un senso. Contenitori intriganti che possono dare un senso a ciò che contengono e persino a ciò che li circonda.
- La volontà di raccontare la città.
- L'ambizione di creare una struttura in progress, che non si fermi ma sia capace nel corso del tempo di mutare, di adeguarsi.
Bologna è famosa per le tre T. E' un approccio che va tenuto in considerazione. Come il cibo: la Madonna Grassa. La storia non può dimenticarlo, chi racconta una città nemmeno.
Bologna può diventare la CAPITALE SIMBOLICA di una storia cittadina che diventa storia nazionale. Percorsi fondanti.
Citiamo Les Annales? Marc Bloch & C? Bene, allora il particolare diventa generale. Siamo pieni di storici e di studiosi dei segni, della realtà e dei feticci. Da Eco ai giorni nostri, da Anceschi ai suoi allievi, dagli Arcangeli in qua, e Raimondi e Ginsburg.
Lasciamo perdere i padri, ma avranno seminato intelligenze? Usiamole
Abbiamo una straordinaria tradizione di interpreti e valorizzatori delle opere altrui. E alcuni sono diventati autori in proprio.
Coinvolgiamoli, così si sentono partecipi del progetto in una città che se non sei nel salotto crede di non esistere. In questo modo l’amministrazione comunale diverrebbe - potrebbe puntare a cercare di diventare - anche un ammortizzare culturale, sociale, politico. Che è il suo compito. Almeno come ambizione.
VIVERE IL 2.000 PER CONOSCERE IL '900
Altra via che si potrebbe tentare, non antagonista al precedente, è inquadrare i bisogni, le ambizioni, le rose e le spine di una città (e di una nazione). E da lì ricostruire i percorsi storici. Non una storia a ritroso, ma una storia sociale. Per trovare le radici, le origini, le cause. «Vivere il 2.000 per conoscere il '900». Attenti: è anche una scelta vendibile sul mercato della comunicazione, oltre che della lettura culturale. FA NOTIZIA. Quindi richiama.
I temi possono essere gli stessi già accennati. O puntare sui valori. Formazione della città, dello Stato. Commerci. Integrazione. Giovani e vecchi. Cittadinanza. Cittadini e forestieri. Ospitalità. Guerra. Pace, Fede. Epoche. Valori. E' una storia in divenire, non ancora una volta un monumento. E anche le opere con cui raccontarla possono cambiare, facendo del museo una struttura non statica, ma discussa, parlata, ragionata.
Quel che a Bologna non c'è.
Attorno a queste scelte si potrebbe creare un meccanismo vivo. Fatto banalmente di incontri, conferenze, spettacoli. Ma anche di coinvolgimenti delle realtà locali. Università in testa, ma non solo. Artisti, musicisti. Modo per istituzionalizzare la contestazione, anche lei. Per tramutarla in una riflessione collettiva.
Anche così si può tentare di recuperare, contattare i senza memoria. Parti non da una memoria che non hanno, ma da LORO. Dai loro linguaggi, bisogni, incubi ecc. E da lì, insieme a loro, ricostruisci la storia.
Idem sulla possibilità di coinvolgere, attrarre le energia attive. E i gruppi che le possiedono, le rappresentano, le gestiscono. Si possono coinvolgere le istituzioni economiche, culturali. Anche dal punto di vista, se si ritiene e si trovano le forme, finanziario.
Bologna è anche una città inventata. Da Rubbiani, nostrano Violet Le Duc, a Cervellati. Il passato che diventa presente, senza paura di contaminare ma avendo ben presente che la via da percorrere è quella dell'ANIMA DELLA CITTA'. Questi sono i fili del percorso da seguire, disseminare, costruire.
CITTA' DI LUOGHI PARLANTI
Un contenitore, una parola-chiave. Per ogni contenitore si sceglie una parola attorno a cui costruire il senso dell'intervento. Una specie di vocabolario cittadino (anche questo può essere valido dal punto di vista anche comunicativo).
Bisogna collegare i contenitori non solo in un progetto, ma con parole ed opere. Ed ecco la proposta.
Un percorso fondato sulle PAROLE che costruiscono una città. La convivenza e la storia.
Un esempio per partire.
via Fondazza. Ovvio il riferimento a Giorgio Morandi. Ma piuttosto si potrebbe innalzare in quel luogo il discorso sulle ombre. Ombre di Morandi, ombre dei portici, convivenza, socialità dei portici, passeggio, pioggia combattuta. Se uno vuole pure OMBRE di Bologna: i suoi misteri, le sue lotte.
Un ex convento: si può ragionare sugli ORDINI RELIGIOSI, le loro ricchiezze, le loro opere d'arte, la carità. Sulla Chiesa e la città.
Ogni contenitore va inquadrato nel contesto in cui si trova. Per raccontare pezzi, anime, incroci della città.
Via Galliera, i canali, i traffici. In questo modo attorno ad ogni realtà puoi anche tentare di creare una, coinvolgere le strutture culturali e commerciali. Creare angoli che diventano appuntamenti.
Il contenitore diventa il volano di un ragionamento sulla città. Con le parole a fare da pietre miliari.
Quali parole? Di nuovo possiamo proporle noi. Carità, solidarietà, lotta, denaro.
Ci si può rivolgere anche alla letteratura, alla poesia. Un verso per un senso.
L'importante è creare un UNICO. Termine di nuovo orrido, da marketing. Ma un evento continuo è la storia che si snocciola, Presente, passato, futuro. Nessun culto del progresso, né del passato. Nemmeno paure. Contatti che trasformano. Recuperare dalla storia azioni, emozioni per imporle come rilevanti, esemplari per il presente. Si recupera il passato, conquistando il presente. E viceversa.
Non è questa la storia, la storia di una città?
Non abbiamo Michelangelo dappertutto, le opere devono diventare eventi. Quelle che ci sono, quelle che si vanno ad acquisire.
Si può anche partire dalle opere per costruire le parole. Il discorso vale persino per le fotografie. Le raccolte fotografiche devono mostrare il senso della città, possono servire da archivio storico, ma per farne arte sarebbe il caso di scorporare alcune opere, farne magari riproduzioni grandi da unire a dipinti, sculture, architetture. Commistioni, per una città che delle commistioni è la capitale. Brutta parola COMMISTIONI, ma potrebbe essere una delle parole-simbolo.
E su ogni parola poggerei un'opera. Un'opera a rappresentare una parola-senso. Opere antiche e moderne, da cui partire per un percorso fatto di commistioni.
Questo ragionamento coinvolge non solo gli artisti attuali, ma gli stessi artisti bolognesi. Per la prima volta Bologna potrebbe essere raccontata anche dai suoi artisti. Singole opere, poche, ma che possono diventare importanti. Con reciproco vantaggio.
Per quel che riguarda la scelta delle opere-perno che rappresentano le parole-chiave l'attinenza può essere reale o simbolica. Affidiamoci alla filologia o alla semiotica. Ogni opera parla.
Il problema è quindi creare un'armonia complessiva e collettiva. Un discorso unico in cui Bologna diventa immagine e mito. Dell'Italia, dell'arte, del dinamismo di una e dell'altra. Compito faticosissimo, ma sfida anche politica decisiva.
UN VOCABOLARIO CITTADINO, UN VOCABOLARIO DI VITA
Ecco allora l'idea-cardine di trovare parole-guida per le singole strutture museali che facciano da percorso, vocabolario, discorso politico.
Nulla, proprio nulla deve essere preso come monumento, piccolo o grande, ricco o povero, racconto del passato, raccolta per quanto bella.
Tutto, proprio tutto deve essere un Magazzino di Idee. E tirar fuori dai magazzini le idee: in questo sta la ricchezza delle acquisizioni, qualsiasi siano. Tirar fuori idee e possibilità dai magazzini, costruire un magazzino collettivo di idee, o un magazzino di idee collettive.
Quindi è importantissimo, vitale, che si ragioni non solo sui contenitori ma su quello che sta loro intorno. Sulla struttura - anche economica -, sulle infrastrutture. Su questa strada si trova un collegamento con gli amministratori locali e magari nazionali. Le sedi dei vari musei devono diventare magazzini in cui la vita entra, esce, si espande intorno. Come vie, traffico, arredo urbano, per quanto possibile negozi. Va cercato un rapporto con le associazioni di categoria, con le strutture culturali delle zone coinvolte.
Unicum in Italia, con spesa relativa e molta fatica intellettuale. Ma anche la fatica intellettuale è un modo per mostrare cosa significa APERTURA non provinciale, dinamicità, capacità di recuperare il locale ed estrarne il senso che va oltre. Fare dell'anima di una città la foto, luci ed ombre, dell'anima di una nazione.
E' il Bel Borgo, il Beaubourg in cui presenze diventano tendenze. Stando con i piedi per terra, ma sapendo che la fortuna, il futuro di un museo sono nel modificarlo continuamente. Partendo da valori forti iniziali.
MUSICA
Certo i cantanti. Ne abbiamo tanti, abbiamo tanta storia.
Ma si racconti pure la musica della meccanica. Contaminazioni fra musicisti, antropologi, imprenditori. Tutti vanno coinvolti nelle scelte che di volta in volta si faranno. Incontri, mostre, kermesse. Corsi di studio, ricerche, università con facoltà in teoria diverse, lontane fra loro. Una egemonia culturale che a Bologna (e in Italia?) non esiste più. Fra Gramsci e Montezemolo.
Rappresentazioni teatrali, musicali, di conversazioni, letture: Da Benigni a Guccini, dalla Fondazione Seragnoli - le macchine automatiche - alla cibernetica. Cosa sono gli organetti se non gli avi dei cyborg?
CONTENITORI
Bisogna collegare i contenitori non solo in un progetto, ma con parole ed opere. Ed ecco la proposta.
Un percorso fondato sulle PAROLE che costruiscono una città. La convivenza e la storia.
Un esempio per partire.
via Fondazza. Ovvio il riferimento a Giorgio Morandi. Ma piuttosto si potrebbe innalzare in quel luogo il discorso sulle ombre. Ombre di Morandi, ombre dei portici, convivenza, socialità dei portici, passeggio, pioggia combattuta. Se uno vuole pure OMBRE di Bologna: i suoi misteri, le sue lotte.
Un ex convento: si può ragionare sugli ORDINI RELIGIOSI, le loro ricchiezze, le loro opere d'arte, la carità. Sulla Chiesa e la città.
Ogni contenitore va inquadrato nel contesto in cui si trova. Per raccontare pezzi, anime, incroci della città.
Via Galliera, i canali, i traffici. In questo modo attorno ad ogni realtà puoi anche tentare di creare una
Il contenitore diventa il volano di un ragionamento sulla città. Con le parole a fare da pietre miliari.
Quali parole? Di nuovo possiamo proporle noi. Carità, solidarietà, lotta, denaro.
Ci si può rivolgere anche alla letteratura, alla poesia. Un verso per un senso.
L'importante è creare un UNICO. Termine di nuovo orrido, da marketing. Ma un evento continuo è la storia che si snocciola, Presente, passato, futuro. Nessun culto del progresso, né del passato. Nemmeno paure. Contatti che trasformano. Recuperare dalla storia azioni, emozioni per imporle come rilevanti, esemplari per il presente. Si recupera il passato, conquistando il presente. E viceversa.
Non è questa la storia, la storia di una città?
Non abbiamo Michelangelo dappertutto, le opere devono diventare eventi. Quelle che ci sono, quelle che si vanno ad acquisire.
Si può anche partire dalle opere per costruire le parole. Il discorso vale persino per le fotografie. Le raccolte fotografiche devono mostrare il senso della città, possono servire da archivio storico, ma per farne arte sarebbe il caso di scorporare alcune opere, farne magari riproduzioni grandi da unire a dipinti, sculture, architetture. Commistioni, per una città che delle commistioni è la capitale. Brutta parola COMMISTIONI, ma potrebbe essere una delle parole-simbolo.
E su ogni parola poggerei un'opera. Un'opera a rappresentare una parola-senso. Opere antiche e moderne, da cui partire per un percorso fatto di commistioni.
Questo ragionamento coinvolge non solo gli artisti attuali, ma gli stessi artisti bolognesi. Per la prima volta Bologna potrebbe essere raccontata anche dai suoi artisti. Singole opere, poche, ma che possono diventare importanti. Con reciproco vantaggio.
Per quel che riguarda la scelta delle opere-perno che rappresentano le parole-chiave l'attinenza può essere reale o simbolica. Affidiamoci alla filologia o alla semiotica. Ogni opera parla.
Il problema è quindi creare un'armonia complessiva e collettiva. Un discorso unico in cui Bologna diventa immagine e mito. Dell'Italia, dell'arte, del dinamismo di una e dell'altra. Compito faticosissimo, ma sfida anche politica decisiva.
UN VOCABOLARIO CITTADINO, UN VOCABOLARIO DI VITA
Ecco allora l'idea-cardine di trovare parole-guida per le singole strutture museali che facciano da percorso, vocabolario, discorso politico.
Nulla, proprio nulla deve essere preso come monumento, piccolo o grande, ricco o povero, racconto del passato, raccolta per quanto bella.
Tutto, proprio tutto deve essere un Magazzino di Idee. E tirar fuori dai magazzini le idee: in questo sta la ricchezza delle acquisizioni, qualsiasi siano. Tirar fuori idee e possibilità dai magazzini, costruire un magazzino collettivo di idee, o un magazzino di idee collettive.
Quindi è importantissimo, vitale, che si ragioni non solo sui contenitori ma su quello che sta loro intorno. Sulla struttura - anche economica -, sulle infrastrutture. Su questa strada si trova un collegamento con gli amministratori locali e magari nazionali. Le sedi dei vari musei devono diventare magazzini in cui la vita entra, esce, si espande intorno. Come vie, traffico, arredo urbano, per quanto possibile negozi. Va cercato un rapporto con le associazioni di categoria, con le strutture culturali delle zone coinvolte.
Unicum in Italia, con spesa relativa e molta fatica intellettuale. Ma anche la fatica intellettuale è un modo per mostrare cosa significa APERTURA non provinciale, dinamicità, capacità di recuperare il locale ed estrarne il senso che va oltre. Fare dell'anima di una città la foto, luci ed ombre, dell'anima di una nazione.
E' il Bel Borgo, il Beaubourg in cui presenze diventano tendenze. Stando con i piedi per terra, ma sapendo che la fortuna, il futuro di un museo sono nel modificarlo continuamente. Partendo da valori forti iniziali.
MUSICA
Certo i cantanti. Ne abbiamo tanti, abbiamo tanta storia.
Ma si racconti pure la musica della meccanica. Contaminazioni fra musicisti, antropologi, imprenditori. Tutti vanno coinvolti nelle scelte che di volta in volta si faranno. Incontri, mostre, kermesse. Corsi di studio, ricerche, università con facoltà in teoria diverse, lontane fra loro. Una egemonia culturale che a Bologna (e in Italia?) non esiste più. Fra Gramsci e Montezemolo.
Rappresentazioni teatrali, musicali, di conversazioni, letture: Da Benigni a Guccini, dalla Fondazione Seragnoli - le macchine automatiche - alla cibernetica. Cosa sono gli organetti se non gli avi dei cyborg?
CONTENITORI
Di qualsiasi sia la proprietà, si possono proporre idee per valorizzarli.
BARACCANO. Il tempio, cristiano, dell'amore, del matrimonio, della coppia. Possibile un rapporto con la Curia e con chi si occupa di tutto-quanto-fa-famiglia. La storia della famiglia, i suoi problemi, le sue possibilità, il valore e i vincoli per la vita civile.
SAN MICHELE IN BOSCO. La città dall'alto. Il paesaggio. Il villeggiare, lo spostarsi all'interno di una città per trovare aria diversa. Poi l'Istituto Rizzoli. Le terapie, la salute, il rigenerarsi del corpo e dell'anima. La resurrezione e le piccole resurrezioni quotidiane. L'ARIA. La VISTA. LA SALUTE.
Idem i rapporti con l'università. Gli studenti che vengono mostrati come risorsa per una città che vuole celebrare la sua storia e si pone come modello di innovazione (booom, ma sappiamo in quale panorama agiamo). Rapporti con gli imprenditori e le associazioni commerciali.
CAFFE' LETTERARIO sotto il Palazzo Comunale
A Bologna mancano anche questi, a parte alcune enclave come D’Azeglio, la Galleria della Morte e Piazza Aldrovandi e per altri versi la Piazza delle Erbe dietro il Mercato di via Ugo Bassi e il Bar Ciccio in via San Mamolo. Pieni di ragazzi, luoghi di creazione dianche dal punto di vista dei meccanismi di appartenenza. Ci si va, ci si vede per stare in compagnia, per apparire e per sentirsi (così) di essere. Antropologia culturale. C'è sempre un richiamo caratterizzante: i negozi accanto, il sentirsi di sinistra, di destra, di niente, il nazionalpopolare inventato e coltivato. Il Caffè deve essere questo. Le pietre antiche come richiamo moderno.
Qualche rimando, ma guai affidarsi alla memoria, al Bar Centrale dove si trovavano i venditori di animali, case, di tutto, al Roxi, al Mocambo, al bar dei Commercianti. Pure l'Osteria del Sole. Professori, ricchi, professionisti, pittori, musicisti, ragazzi in crescita. Credo che ora bisogna puntare molto sui giovani: sono loro a frequentare i bar, happy hour e via di seguito. Bisogna essere capaci della commistione con gli altri generi di clientela. Non schiacciare l'una su l'altra. Tutti devono sentirsi protagonisti, meccanismo da Grande Fratello ma si tratta di saperlo usare. Di nuovo: fascinazione, finzione, fatturato. Il Modello può essere il vecchio, defunto Caffè del Teatro. Da ragionare, confrontarsi..
Invece di andare apertamente in concorrenza, si può tentare un rapporto con la Bologna commerciale. Cercare di portare nel Caffè la storia commerciale di Bologna. O meglio, farne un punto di partenza. Ricette, guide turistiche (come Bologna è vista dagli altri nel corso dei secoli, come è mutata la percezione: non solo Goethe & C.), mappe, piani urbanistici. Persino elenchi telefonici. Pubblicità, botteghe e boutique. Qualche quadro, magari cambiandolo. Qualche scultura, qualche opera, qualche reperto. La città che muta. Coinvolgere i commercianti.
Se c'è spazio si può pensare a giochi antichi - biliardo - e soprattutto inserire - anche solo come esempio di quello che si può trovare altrove -con cui dipingere passato, presente, futuro. Iperspazi, Bologna reale e virtuale. Internet Cafè colto. Second life. La città che vorrei, il museo che vorrei... Tecnicamente molto facile.
Secondo me di straordinario richiamo. Ed evento nazionale almeno. Sapendo benissimo che ci sono anche rischi: di riprodurre sui computer (il Caffè avvia, insegna, se la moda funziona la gente poi prosegue a casa propria...) i graffiti che riempiono Bologna.
Inutile però nascondere la testa sotto la sabbia. La faccenda va affrontata, non è solo questione di controllo (giusto) più o meno poliziesco. La discriminante intanto è dividere la sozzura dalla voglia di esprimersi. Quindi entra in gioco - per vincere o perdere la sfida - l'Amministrazione, qualunque sia. I ribelli puoi demonizzarli, massacrarli, subirli. O cercare di vincerli perchè sei più bravo. Anche arrivando a patti. Cosa è successo all'Ateneo quando funzionava?
E questa è Storia di Bologna, quando era vetrina. Polis, poli-tica. Con questo dobbiamo confrontarci.
BARACCANO. Il tempio, cristiano, dell'amore, del matrimonio, della coppia. Possibile un rapporto con la Curia e con chi si occupa di tutto-quanto-fa-famiglia. La storia della famiglia, i suoi problemi, le sue possibilità, il valore e i vincoli per la vita civile.
SAN MICHELE IN BOSCO. La città dall'alto. Il paesaggio. Il villeggiare, lo spostarsi all'interno di una città per trovare aria diversa. Poi l'Istituto Rizzoli. Le terapie, la salute, il rigenerarsi del corpo e dell'anima. La resurrezione e le piccole resurrezioni quotidiane. L'ARIA. La VISTA. LA SALUTE.
Idem i rapporti con l'università. Gli studenti che vengono mostrati come risorsa per una città che vuole celebrare la sua storia e si pone come modello di innovazione (booom, ma sappiamo in quale panorama agiamo). Rapporti con gli imprenditori e le associazioni commerciali.
CAFFE' LETTERARIO sotto il Palazzo Comunale
A Bologna mancano anche questi, a parte alcune enclave come D’Azeglio, la Galleria della Morte e Piazza Aldrovandi e per altri versi la Piazza delle Erbe dietro il Mercato di via Ugo Bassi e il Bar Ciccio in via San Mamolo. Pieni di ragazzi, luoghi di creazione di
Qualche rimando, ma guai affidarsi alla memoria, al Bar Centrale dove si trovavano i venditori di animali, case, di tutto, al Roxi, al Mocambo, al bar dei Commercianti. Pure l'Osteria del Sole. Professori, ricchi, professionisti, pittori, musicisti, ragazzi in crescita. Credo che ora bisogna puntare molto sui giovani: sono loro a frequentare i bar, happy hour e via di seguito. Bisogna essere capaci della commistione con gli altri generi di clientela. Non schiacciare l'una su l'altra. Tutti devono sentirsi protagonisti, meccanismo da Grande Fratello ma si tratta di saperlo usare. Di nuovo: fascinazione, finzione, fatturato. Il Modello può essere il vecchio, defunto Caffè del Teatro. Da ragionare, confrontarsi..
Invece di andare apertamente in concorrenza, si può tentare un rapporto con la Bologna commerciale. Cercare di portare nel Caffè la storia commerciale di Bologna. O meglio, farne un punto di partenza. Ricette, guide turistiche (come Bologna è vista dagli altri nel corso dei secoli, come è mutata la percezione: non solo Goethe & C.), mappe, piani urbanistici. Persino elenchi telefonici. Pubblicità, botteghe e boutique. Qualche quadro, magari cambiandolo. Qualche scultura, qualche opera, qualche reperto. La città che muta. Coinvolgere i commercianti.
Se c'è spazio si può pensare a giochi antichi - biliardo - e soprattutto inserire - anche solo come esempio di quello che si può trovare altrove -
Secondo me di straordinario richiamo. Ed evento nazionale almeno. Sapendo benissimo che ci sono anche rischi: di riprodurre sui computer (il Caffè avvia, insegna, se la moda funziona la gente poi prosegue a casa propria...) i graffiti che riempiono Bologna.
Inutile però nascondere la testa sotto la sabbia. La faccenda va affrontata, non è solo questione di controllo (giusto) più o meno poliziesco. La discriminante intanto è dividere la sozzura dalla voglia di esprimersi. Quindi entra in gioco - per vincere o perdere la sfida - l'Amministrazione, qualunque sia. I ribelli puoi demonizzarli, massacrarli, subirli. O cercare di vincerli perchè sei più bravo. Anche arrivando a patti. Cosa è successo all'Ateneo quando funzionava?
E questa è Storia di Bologna, quando era vetrina. Polis, poli-tica. Con questo dobbiamo confrontarci.
SECOND LIFE
Second Life significa anche permettere di giocare con i Se. Dare l'occasione di viaggiare attraverso le svolte di Bologna, le Apocalissi. Facendo capire - anzi, siamo al bar, sentire - cosa sono le svolte e le Apocalissi. Permettere ai clienti di cercare di capire-dipingere cosa sarebbe successo se quell'anno, quel giorno, quel momento le cose fossero andate in un modo invece che in un altro. Possibile, osservate cosa fanno i siti, quanti siti ruotano attorno a confronti apparentemente demenziali, ma se gestiti capaci di fare la rassegna dei sogni, delle speranze, delle delusioni. Anche di una città. Museo in progress, virtuale e virtuoso.
Una partedovrebbe poi funzionare come Caffè Letterario classico, giocando proprio su questa classicità. Chiacchiere e non ammucchiata, qualche lezione ad hoc, qualche incontro, stanza per fumatori, se possibile. Separè, mancano anche questi a Bologna (pure per amorazzi).
APOCALISSI – FINI E RINASCITE
Il discorso delle Apocalissi, delle svolte si può dilatare alla città. Sul modello della città che si illumina. Si può studiare un percorso, anzi un insieme di percorsi, magari diversi per datazione, ambientazione, rimandi, sulle svolte, le catastrofi e le resurrezioni (ci stanno Renè Thom e la Teoria dei Giochi, Eco, l'università, gli economisti coinvolgibili), di Bologna. Eventi ed ambienti, fatti e rappresentazioni. San Luca e l'epidemia, il Conservatorio e Mozart, il Comunale e Wagner, Carlo V... cito per l'inclita, ma il colto sa trovare tanto e meglio. Opere d'arte da valorizzare, ma anche musiche da far suonare, teatranti da coinvolgere (lo fece Picchi) in una città che nessuno lo sa ma è piena di gruppi che hanno successo spesso altrove, quadri e sculture antiche e moderne più o meno ad hoc. Cinema, fotografie.
Italo Calvino nelle Città invisibili (1972), fa coesistere nella città di Marozia sia l’area dei topi, cioè degli ultimi, dei sommersi, degli uomini sotterranei e votati ai bassifondi sociali, sia l’area delle rondini, cioè di coloro che veleggiano liberamente nei cieli della globalità e della rete o della prosperità e della cultura. Analoga è la rappresentazione di un sociologo come Michael Walzer che nel suo saggio Sfere di giustizia (1987) introduce il simbolo dell’antica Atene ove s’incrociano gli ateniesi veri e propri, cittadini a pieno titolo, dotati di autonomia e libertà, e i meteci, cioè gli stranieri o i 'misti', attivi ma solo tollerati, privi di cittadinanza piena, figli di un dio minore. La città costituisce, quindi, una realtà che raggruma in sé divaricazioni e divergenze, splendori e miserie, duetti e duelli.
RAPPORTO CON LA CHIESA.
Second Life significa anche permettere di giocare con i Se. Dare l'occasione di viaggiare attraverso le svolte di Bologna, le Apocalissi. Facendo capire - anzi, siamo al bar, sentire - cosa sono le svolte e le Apocalissi. Permettere ai clienti di cercare di capire-dipingere cosa sarebbe successo se quell'anno, quel giorno, quel momento le cose fossero andate in un modo invece che in un altro. Possibile, osservate cosa fanno i siti, quanti siti ruotano attorno a confronti apparentemente demenziali, ma se gestiti capaci di fare la rassegna dei sogni, delle speranze, delle delusioni. Anche di una città. Museo in progress, virtuale e virtuoso.
Una parte
APOCALISSI – FINI E RINASCITE
Il discorso delle Apocalissi, delle svolte si può dilatare alla città. Sul modello della città che si illumina. Si può studiare un percorso, anzi un insieme di percorsi, magari diversi per datazione, ambientazione, rimandi, sulle svolte, le catastrofi e le resurrezioni (ci stanno Renè Thom e la Teoria dei Giochi, Eco, l'università, gli economisti coinvolgibili), di Bologna. Eventi ed ambienti, fatti e rappresentazioni. San Luca e l'epidemia, il Conservatorio e Mozart, il Comunale e Wagner, Carlo V... cito per l'inclita, ma il colto sa trovare tanto e meglio. Opere d'arte da valorizzare, ma anche musiche da far suonare, teatranti da coinvolgere (lo fece Picchi) in una città che nessuno lo sa ma è piena di gruppi che hanno successo spesso altrove, quadri e sculture antiche e moderne più o meno ad hoc. Cinema, fotografie.
Italo Calvino nelle Città invisibili (1972), fa coesistere nella città di Marozia sia l’area dei topi, cioè degli ultimi, dei sommersi, degli uomini sotterranei e votati ai bassifondi sociali, sia l’area delle rondini, cioè di coloro che veleggiano liberamente nei cieli della globalità e della rete o della prosperità e della cultura. Analoga è la rappresentazione di un sociologo come Michael Walzer che nel suo saggio Sfere di giustizia (1987) introduce il simbolo dell’antica Atene ove s’incrociano gli ateniesi veri e propri, cittadini a pieno titolo, dotati di autonomia e libertà, e i meteci, cioè gli stranieri o i 'misti', attivi ma solo tollerati, privi di cittadinanza piena, figli di un dio minore. La città costituisce, quindi, una realtà che raggruma in sé divaricazioni e divergenze, splendori e miserie, duetti e duelli.
RAPPORTO CON LA CHIESA.
CITTA' TERRENA E CITTA' CELESTE
Su questo si può trovare un rapporto forte con la Chiesa.
Da parte nostra in questa raffigurazione vediamo delinearsi la città ideale, la meta verso la quale tendere la speranza. È la nuova Gerusalemme dipinta dall’Apocalisse come l’approdo della storia e come il sogno e il progetto di Dio e dell’umanità rinnovata.
La città-Emanuele del «Dio-con-loro» (21, 4), la città delle Beatitudini evangeliche, la vera città dell’utopia, non nel senso evanescente di questo termine, ma nel suo valore pieno di progettualità trascendente, di orizzonte elevato e luminoso, di idealità e moralità, di ricerca e verità, di dignità e bellezza, di giustizia e di amore (Giancarlo Ravasi).
Essa è un monito per chi nella polis del presente si accontenta della navigazione a vista, del realismo rinunciatario, del respiro corto, della mera gestione o degli interessi solo contingenti. Sono coloro che si identificano nella città «tiepida» della Laodicea dell’Apocalisse (3, 15-16). Il grande moralista francese François de la Rochefoucauld osservava che «chi si applica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi». È in questa luce, che coniuga concretezza e speranza, storia ed escatologia, che Gerusalemme si erge come città simbolica della pace, sulla quale si devono modellare le città storiche col loro travaglio di sviluppo e di fatica, di splendori e di miserie.
ALLEGATO 1(Lavoro che sto facendo con Renato Villalta e che sarà presentato in modo più completo)
Da parte nostra in questa raffigurazione vediamo delinearsi la città ideale, la meta verso la quale tendere la speranza. È la nuova Gerusalemme dipinta dall’Apocalisse come l’approdo della storia e come il sogno e il progetto di Dio e dell’umanità rinnovata.
La città-Emanuele del «Dio-con-loro» (21, 4), la città delle Beatitudini evangeliche, la vera città dell’utopia, non nel senso evanescente di questo termine, ma nel suo valore pieno di progettualità trascendente, di orizzonte elevato e luminoso, di idealità e moralità, di ricerca e verità, di dignità e bellezza, di giustizia e di amore (Giancarlo Ravasi).
Essa è un monito per chi nella polis del presente si accontenta della navigazione a vista, del realismo rinunciatario, del respiro corto, della mera gestione o degli interessi solo contingenti. Sono coloro che si identificano nella città «tiepida» della Laodicea dell’Apocalisse (3, 15-16). Il grande moralista francese François de la Rochefoucauld osservava che «chi si applica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi». È in questa luce, che coniuga concretezza e speranza, storia ed escatologia, che Gerusalemme si erge come città simbolica della pace, sulla quale si devono modellare le città storiche col loro travaglio di sviluppo e di fatica, di splendori e di miserie.
ALLEGATO 1(Lavoro che sto facendo con Renato Villalta e che sarà presentato in modo più completo)
RETE DELLO SPORT
La Rete dello Sport può essere una grande opportunità per Bologna. Come realtà amministrativa ed esempio nazionale.
La mia proposta
Vincolare la costruzione di qualsiasi impianto sportivo (e di ogni progetto ad esso annesso) all’impegno legale da parte degli operatori di procedere alla manutenzione di una serie di strutture sportive esistenti.
Strutture comunali, ma anche altre strutture pubbliche o private che abbiano la destinazione per uso pubblico. Nel caso delle strutture sportive scolastiche non comunali è necessario un accordo con il Provveditorato agli Studi. In caso di strutture scolastiche private si analizzerà caso per caso attraverso una Commissione mista (pubblica e privata, con tutti gli interessati) e si studieranno accordi e possibilità.
Indispensabile il coinvolgimento dei Comuni nella zona metropolitana di Bologna.
I nuovi impianti non sono un obbligo né una necessità, ma una Opportunità. E devono esserlo per tutta Bologna. Per chi si interessa degli sport coinvolti e per chi no. Per chi abita nelle zone coinvolte e per chi sta lontano.
Il privato diventa davvero IL SIGNORE DEL CALCIO, DEL BASKET, ma non per la squadra (non solo per lei) ma per quello che fa per la città. Si occupa di uno sport, non di una squadra.
Se vuole studiare da sindaco non lo fa in mutande da calciatore, ciclista, cestista, canoista. Ma da uomo completo, politico completo.
Tutta la città è coinvolta nel progetto, dove si costruisce e dove si restaura, si mantiene, ci guadagnano da una parte ma – anche se meno – in un’altra, i ragazzi che usano i campi, i genitori, le scuole, i quartieri
Una politica nuova non è fatta di comparsate allo Stadio (meglio un sindaco in tribuna o in biblioteca, al palazzo o alla mostra? e si possono fare tutte due le cose? non esistono gerarchie? quante domande senza risposta si possono fare…). E’ costruita sulla capacità di gestire lo sport, di dettare per quanto possibile le sue regole in città. Di capire di cosa si sta parlando.
Questo potrebbe avere peso anche nella costruzione (senza illusioni) di una coscienza civica sia verso chi va allo Stadio sia verso chi non ci va. Di dividere Bologna fra sportivi (o tifosi, fan, fedeli, ultrà) e indifferenti, contrari, laici, atei.
Costruiamo lo sport di Bologna, la cultura sportiva di Bologna. Fatta di mattoni e di partecipazione.
Così lo sport è davvero di massa
anche quello di elite (dove sono ormai gli sport di elite? il polo, la formula uno, la vela….)
RETE DEI TRASPORTI
La Rete dello Sport può essere una grande opportunità per Bologna. Come realtà amministrativa ed esempio nazionale.
La mia proposta
Vincolare la costruzione di qualsiasi impianto sportivo (e di ogni progetto ad esso annesso) all’impegno legale da parte degli operatori di procedere alla manutenzione di una serie di strutture sportive esistenti.
Strutture comunali, ma anche altre strutture pubbliche o private che abbiano la destinazione per uso pubblico. Nel caso delle strutture sportive scolastiche non comunali è necessario un accordo con il Provveditorato agli Studi. In caso di strutture scolastiche private si analizzerà caso per caso attraverso una Commissione mista (pubblica e privata, con tutti gli interessati) e si studieranno accordi e possibilità.
Indispensabile il coinvolgimento dei Comuni nella zona metropolitana di Bologna.
I nuovi impianti non sono un obbligo né una necessità, ma una Opportunità. E devono esserlo per tutta Bologna. Per chi si interessa degli sport coinvolti e per chi no. Per chi abita nelle zone coinvolte e per chi sta lontano.
Il privato diventa davvero IL SIGNORE DEL CALCIO, DEL BASKET, ma non per la squadra (non solo per lei) ma per quello che fa per la città. Si occupa di uno sport, non di una squadra.
Se vuole studiare da sindaco non lo fa in mutande da calciatore, ciclista, cestista, canoista. Ma da uomo completo, politico completo.
Tutta la città è coinvolta nel progetto, dove si costruisce e dove si restaura, si mantiene, ci guadagnano da una parte ma – anche se meno – in un’altra, i ragazzi che usano i campi, i genitori, le scuole, i quartieri
Una politica nuova non è fatta di comparsate allo Stadio (meglio un sindaco in tribuna o in biblioteca, al palazzo o alla mostra? e si possono fare tutte due le cose? non esistono gerarchie? quante domande senza risposta si possono fare…). E’ costruita sulla capacità di gestire lo sport, di dettare per quanto possibile le sue regole in città. Di capire di cosa si sta parlando.
Questo potrebbe avere peso anche nella costruzione (senza illusioni) di una coscienza civica sia verso chi va allo Stadio sia verso chi non ci va. Di dividere Bologna fra sportivi (o tifosi, fan, fedeli, ultrà) e indifferenti, contrari, laici, atei.
Costruiamo lo sport di Bologna, la cultura sportiva di Bologna. Fatta di mattoni e di partecipazione.
Così lo sport è davvero di massa
anche quello di elite (dove sono ormai gli sport di elite? il polo, la formula uno, la vela….)
RETE DEI TRASPORTI
La rete deve essere davvero una cultura di governo. La cultura deve portare alla rete. Fra la gente, le strutture, i progetti. Vale per lo sport, vale per i trasporti
Vale per altro ancora
Non sta a me prolungarmi: ma su questa possibilità si gioca il futuro di Bologna-città di individui solidali, nonostante tutto e tutti. Con molti guai, qualche speranza, abbastanza certezze.
Vale per altro ancora
Non sta a me prolungarmi: ma su questa possibilità si gioca il futuro di Bologna-città di individui solidali, nonostante tutto e tutti. Con molti guai, qualche speranza, abbastanza certezze.
(Scritto da Patrizia Beccari)
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